Mi dicono che anche i grandi elettori del governo di centrosinistra non ne possano proprio più di Prodi. L’avevano scelto convinti che lui fosse il solo capace di tenere insieme la scombinata compagnia di giro che sorregge il governo. Ma, dopo poco più di un anno, banchieri e imprenditori che progettarono il passaggio a sinistra del Paese si sono accorti che con Romano non si va da nessuna parte. L’unico posto in cui il presidente del Consiglio pare in grado di trascinarci è sul viale del tramonto.
Già, perché al di là delle promesse di Tommaso Padoa-Schioppa, il ministro ribattezzato Tps, acronimo che somiglia a una nuova imposta, e dell’esultanza di qualche altro ministro, la situazione economica non è affatto tranquillizzante. Da dentro il dicastero dell’Economia giungono voci preoccupate sul rallentamento della crescita nei prossimi mesi. Qualcuno parla di un Prodotto interno lordo all’1,8 per cento, altri all’1,5: molto al di sotto dunque del già basso 2 per cento preventivato. E poi ci sono i conti. Agli squilli di tromba per l’aumento del gettito fiscale, ossia delle tasse che sono state incamerate strizzando il portafogli degli italiani, fanno da contraltare le maggiori spese che il governo ha stanziato nella speranza di arginare lo sprofondo rosso del consenso. Per comprarsi la fiducia degli elettori, Prodi e compagni hanno già dilapidato più di 11 miliardi: 1 miliardo per la riforma delle pensioni (che invece di ridurre la spesa previdenziale, l’aumenta); 2,3 miliardi per i contratti del pubblico impiego, cui se ne aggiungeranno altri per i rinnovi del 2008; 4 miliardi alle Fs, 1 all’Enav, 1,2 per le agevolazioni fiscali e via scialando. A questi si sommano 10 miliardi per generiche «Nuove iniziative». I famosi 20 miliardi che il Fisco più rapace d’Europa ha risucchiato ai contribuenti sono belli che spesi.
Altro che riduzione delle tasse. La manovra che il governo si appresta a varare rischia di essere un’altra mazzata. Si parla di una Finanziaria di 15, forse 20 miliardi di euro. E per fare che? Le solite porcherie. Un po’ di fumo per fingere di aver deciso misure eque e poi regali agli amici e clientelismo. Chi paga? Ovviamente i soliti: gli appartenenti al ceto medio. Un esempio: il taglio dell’Ires, ossia la tassa sulle società di capitali. A finanziare la riduzione di 5 o 6 punti sarà l’abolizione degli incentivi, di cui beneficiano anche le minuscole imprese. Insomma, si usa la vecchia tecnica di prendere ai piccoli per dare ai grandi.
Così, mentre in Francia Nicolas Sarkozy oggi annuncerà la seconda fase delle riforme economiche, da noi non si vede l’ombra neppure della prima. Anzi: con Prodi è iniziata la controriforma.
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