Medici "in affitto", telefonate di verifica a casa dei pazienti, sale operatorie aperte fino a sera, esami by night. Gli ospedali lombardi si stanno ingegnando in ogni modo per combattere il nemico numero uno della sanità: le liste d’attesa. I dati, negli ultimi sei anni, sono migliorati: basti pensare che nel 2004 veniva effettuato entro 60 giorni l’87 per cento delle le prestazioni ambulatoriali, mentre ad oggi se ne effettua il 95%. Ma non basta. Per una mammografia si aspettano 20 giorni (qualcosa di più nelle strutture più grandi), per un esame urologico se ne aspettano 45, per una visita oculistica si arriva a 30 giorni. Tempi lunghi anche per le colonscopie.
La Regione Lombardia, nel nuovo piano socio sanitario in corso di approvazione, detterà linee precise per abbattere le liste. A cominciare dalla scrematura delle liste fittizie: grazie a un unico centro di prenotazione, si eviterà che il paziente prenoti lo stesso esame in tre ospedali diversi. All’inizio dell’anno la Regione ha stanziato 45 milioni di euro per contenere le liste. Gli ospedali come stanno utilizzando quei soldi? Ognuno si sta attrezzando da sé. Al Niguarda si fissano gli esami radiologici fino a sera, così come al policlinico San Donato, al Galeazzi, al Besta e, a breve, al Policlinico di Milano. Idem al San Matteo di Pavia, dove le sale operatorie restano aperte 12 ore al giorno e i macchinari per le radiografie vanno avanti a oltranza. Negli ambulatori ci si è organizzati per "ripulire" le liste d’attesa: "Chiamiamo sempre i pazienti per ricordare la visita - spiega il direttore sanitario dell’ospedale pavese, Marco Bosio -. Così se la disdicono, possiamo colmare i buchi in agenda fissando altri appuntamenti con altri pazienti, senza perdere tempo". I risultati ci sono: "Senza il recall, il 10-15% dell’agenda sarebbe coperto a macchia di leopardo".
Altro trucchetto abbatti liste: reclutare medici e professionisti extra in caso di necessità. "Se non riusciamo a turnare in modo adeguato - spiega Bosio - allora, per coprire gli orari prolungati ci affidiamo a medici esterni all’ospedale e li paghiamo a prestazione, in base alle visite o alle ecografie che effettuano".
Da ogni ospedale, sia che si tratti dell’Istituto tumori, sia che si tratti del Policlinico, del San Paolo o del San Raffaele, arriva un unico appello ai medici di famiglia: non spedire i pazienti nei centri di eccellenza solo per un elettrocardiogramma sotto sforzo o una banale ecografia. "Per esami così semplici - dicono i camici bianchi in un unico coro - vanno benissimo gli ospedali territoriali". Idem per le chemioterapie e le radioterapie: "Il protocollo è lo stesso in tutta Italia - ha spesso detto Ermanno Leo, direttore dell’unità operativa di chirurgia del colon retto al Istituto tumori - è inutile che i pazienti vengano da fuori regione per una chemio". Se si sfoltisse il flusso dei "viaggiatori della salute" negli ospedali lombardi, allora le liste sarebbero pressoché dimezzate.
Un altro imput per abbattere i tempi arriva dal Pirellone: "Stiamo determinando nuovi limiti per definire l’urgenza - spiega il direttore generale lombardo della sanità, Carlo Lucchina -.
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