Le piazze in Egitto restano piene. Centinaia di migliaia di persone hanno invaso ieri il luogo simbolo della rivoluzione del 2011, midan Tahrir, e i viali vicino al vuoto palazzo presidenziale. I caccia dell'aviazione militare hanno sorvolato in formazione il centro della capitale, in una patriottica dimostrazione di forza. Le bandiere nazionali e le fotografie del capo di Stato maggiore, il generale Abdelfattha Al Sisi, sono il gadget più venduto sulle bancarelle del centro. La campagna «Tamarrud», ribellione in arabo, all'origine delle proteste di questi giorni, ha chiesto agli egiziani di tornare in strada «per completare la rivoluzione».
A pochi chilometri di distanza, in un'altra piazza, migliaia di sostenitori del deposto presidente Mohammed Morsi hanno in mano le stesse bandiere nere, bianche e rosse. Sulle magliette vendute in negozi improvvisati sul cofano delle automobili c'è scritto: «Sì alla legittimità, no alla violenza». Per chi appoggia i Fratelli musulmani, il movimento islamista di Morsi, il rais è un leader democraticamente eletto, illegalmente deposto. «I militari dicono di avere fatto quello che hanno fatto per il popolo egiziano. E allora facciamo un paragone: contiamo chi accetta e chi rifiuta gli eventi, contiamo quante persone ci sono in piazza da una parte e dall'altra, che in democrazia significa fare elezioni», dice Lubna Abdel Aziz, 23 anni, insegnante di scienze, dalla piazza nei sobborghi del Cairo dove manifestano i Fratelli musulmani. Ha il Corano in mano e un casco da cantiere appoggiato sul velo: «Per proteggermi dal sole», dice. Gli uomini che stanno di guardia alle entrate della piazza indossano invece gli elmetti perché temono scontri con la fazione opposta. Le forze armate ieri hanno irrobustito la loro presenza in tutte le città del Paese, ha detto il portavoce militare, Ahmed Ali. Le parti non trovano un compromesso politico. Le piazze antagoniste colme raccontano la polarizzazione in cui è precipitato il Paese e che nei giorni scorsi ha causato decine di morti. I disordini non sono rimasti arginati alle città del dissenso. La deposizione del leader islamista eletto ha inasprito l'azione di gruppi armati radicali in una delle aree più instabili del Paese: il Nord del Sinai. Qui ieri è stato colpito un gasdotto, sabato è stato ucciso un sacerdote cristiano copto, venerdì ci sono stati scontri tra miliziani e forze dell'ordine.
La Farnesina, che raccomanda agli italiani di non viaggiare nei maggiori centri urbani dell'Egitto, non ha sconsigliato il turismo nelle spiagge del Sud del Sinai. Per questo, sono arrivate ieri le critiche della Federconsumatori, secondo la quale un'indicazione contraria del ministero degli Esteri permetterebbe ai viaggiatori di ottenere rimborsi. Secondo l'associazione Codacons, chi ha già viaggi prenotati ma non vuole più partire a causa dei disordini ha il diritto a risarcimenti. Ma la fuga dei turisti, intanto, mette il paese in ginocchio. Le piazze egiziane si riempiono di nuovo mentre nei corridoi della politica si cerca un compromesso per mettere fine a una crisi politica con pericolose ripercussioni sulla sicurezza. La road map dei generali, rivelata agli egiziani alla deposizione del rais islamista, si è bloccata sulla nomina a premier di Mohammed ElBaradei. Il partito salafita Al Nour si oppone all'ex Premio Nobel, troppo laico e liberale per gli ultraconservatori islamici, che avrebbero proposto fra gli altri come primo ministro un ex uomo di Mubarak, premier durante il governo della giunta militare 2011: Al Ganzouri. Il fronte del 30 giugno, l'anima della piazza anti-Morsi, ha messo il veto: «Su ElBaradei nessun compromesso», ha detto al Giornale l'attivista Hassan Shaaban.
Quando questo giornale andava in stampa, secondo il canale egiziano Al Hayat si sarebbe trovato un compromesso: il nuovo premier sarebbe Ziad Baha Eldin, ex presidente del comitato finanziario del governo, e ElBaradei diventerebbe vicepresidente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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