Il nobel dato a tre donne solleva dubbi sulla scelta Premia genere o merito?

Il premio dell'Accademia rischia l'accusa di sessismo. Perché tre protagoniste per un solo premio alla pace? Il sospetto è che la logica sia quella di un tributo al genere anzichè al merito 

Il nobel dato a tre donne 
solleva dubbi sulla scelta 
Premia genere o merito?

Già da diversi anni i premi No­bel per la Pace hanno perso buo­na p­arte del loro significato simbo­lico e del loro valore ideale a causa della politicizzazione che ne gui­da l’assegnazione. Purtroppo non è rimasto nulla, in Occidente, che non abbia questa valenza utili­­taria: «Ci serve? Quale profitto ne possiamo trarre?».

Non un gesto, non una parola, sfugge alla suprema legge econo­micistica che impera nel nostro mondo. E, prima di tutto, nella «politica»che, essendo anch’essa intessuta della legge del profitto, ha invaso ogni angolo, ogni pur piccola parte del comportamento della società occidentale. Come avrebbe potuto l’assegnazione dei premi Nobel sottrarsi a una possibile funzionalità politica? Quelli per la Pace, poi, invenzione abbastanza grottesca di un Occi­dente che trova di continuo sotti­li, razionalissimi motivi per muo­vere guerre a scopo di «pace»,si so­no persino logorati in questo gio­co, ormai troppo scoperto. Da questo punto di vista non si può certo dimenticare l’assegnazione del premio per la Pace ad un Oba­ma che ancora non aveva avuto neanche il tempo di accorgersi di essere diventato il Presidente de­l­la Nazione più armata del mondo. E che, infatti, ha seguito in tutto e per tutto le abitudini bellicose dei suoi predecessori. Non poteva mancare, quindi, l’idea che, in epoca di smaccata esaltazione del­le donne, tanto più brave degli uo­mini, l’assegnazionedel premio a qualche donna di sicura occiden­talizzazione, come sono tutte e tre le premiate, fosse utile per comin­ciare a mettere i piedi attraverso di loro in Paesi nei quali fino ad og­gi l’Occidente, per motivi diversi ma non di poco conto, è stato as­sente. Vogliamo dire con questo che non ci rallegriamo di questa scelta? Certamente no. Però non si può fare a meno di notare una ve­ra e propria stranezza: come mai tre donne e un solo premio? Non si tratta di un premio a una équipe scientifica. E del resto nei premi collettivi non incide l’uguaglian­za del sesso. Non vorremmo nean­che supporre che tutto sommato tre donne ne valgano una. Si vole­vano premiare perché di sesso femminile? La giornalista dello Yemen ha lavorato effettivamen­te per i diritti delle donne. Ha co­minciato togliendosi il velo in un paese dove vige la più stretta osser­vanza islamica e dove quindi le donne si trovano in condizione di assoluta inferiorità e sottomissio­ne. Dunque è stata premiata pro­prio perché donna. Ma non si può dire la stessa cosa per le due pre­miate della Liberia, una delle qua­li è addirittura il presidente del suo paese. Diciamo che per ora non sappiamo fino a che punto sia il caso di rallegrarsi. I risultati di questo interesse dell’Occidente per un paese come la Liberia, per esempio, non si potranno vedere se non fra qualche tempo. Un fat­to è evidente: la Liberia è stata la­sciata per decine d’anni alla sua immensa miseria, agli eccidi di una interminabile guerra intesti­na senza che l’Occidente si muo­vesse, come è solito fare, per «por­tare con le sue armi la pace». Evi­dentemente l’esercito di bambini «drogati e fatti diventare macchi­ne da guerra », secondo quanto ha spiegato in un documentario Ley­mah Gbowee, non bastava a spin­g­ere l’Occidente a sprecare nean­che uno dei suoi contingenti «di pace». Fatto sta che la Liberia, più o meno come la Somalia,anch’es­sa devastata da guerre tribali e ca­restie, non possiede le ricchezze che fanno gola all’Occidente e per le quali è disposto a impiegare uo­mini e mezzi. Non è la Libia, in­somma. Per lo Yemen la questio­ne è invece molto più complessa a causa della sua posizione geopoli­tica e dello stretto islamismo im­perante. L’Occidente,perciò,è co­stretto a muoversi con estrema cautela e probabilmente conta su una qualche ribellione delle don­ne al suo interno per cominciare a incrinarne almeno il potere reli­gioso.

Se c’è l’intenzione di dare maggiore forza, col premio, al­l’azione di Tawakkul Karman di fronte all’opinione pubblica ye­menita, si tratta di un calcolo qua­si certamente errato. Ma soprat­tutto carico di pericoli per le don­ne yemenite che vogliano ribellar­si. Il Corano è immensamente più forte di loro.

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