A Pechino voci di golpe e (vere) guerre di partito: in manette sei blogger

Chiusi 16 siti internet che avevano diffuso notizie su strani movimenti di truppe, epurati i neomaoisti

A Pechino voci di golpe e (vere) guerre di partito: in manette sei blogger

Mario Monti pensa agli affari, ma il premier Wen Jiabao e gli altri suoi convitati cinesi hanno altre preoccupazioni. A Pechino da due settimane tira aria di golpe. Ufficialmente nessuno ne parla, ma la tensione è palpabile. La prova più evidente di tanta agitazione è l’arresto di sei persone - accusate di «aver disseminato voci» - seguito dalla chiusura di 16 pubblicazioni internet colpevoli di aver riferito di misteriosi movimenti di truppe nella capitale. Dietro quei provvedimenti s’agita il fantasma ingombrante di Bo Xilai, il leader «neo maoista» costretto il 15 marzo a lasciare la poltrona di segretario del partito di Chongqing, una megalopoli da 32 milioni di abitanti testa di ponte dello sviluppo economico delle regioni occidentali. La rimozione è il sintomo una guerra fra bande capace di segnare il futuro del paese. E a tingere tutto di giallo s’aggiunge il cadavere di Neil Heywood, un uomo d’affari inglese assai vicino alla moglie di Bo Xilai, ritrovato morto a novembre in un albergo di Chongqing. Il clima da congiura che circonda la visita in Cina del nostro presidente del Consiglio fa da sfondo alle grandi manovre in vista del 18° Congresso del Partito del prossimo ottobre. Il 63enne Bo Xilai contava sul quell’appuntamento per metter piede nel Comitato Permanente del Comitato Centrale, l’organo di nove membri responsabile delle sorti del paese. E su di lui puntava l’agguerrita fazione revisionista convinta che lo sviluppo economico abbia trascinato la Cina lontano dagli insegnamenti del «Grande timoniere» alimentando delinquenza, corruzione e ineguaglianza. Per mettere alla prova il proprio pupillo i vari epigoni del neo maoismo, tra i quali il capo dei servizi segreti Zhou Yongkang, avevano scelto Chongqing, una città considerata - a causa del suo tasso di criminalità - la vera «mela marcia» della nuova Cina. Bo non li delude. Nel 2007, dopo essersi conquistato i galloni di segretario del partito della megalopoli, lancia una vera guerra alla delinquenza organizzata dando carta bianca a un esercito di poliziotti che arresta, in poco tempo, 2000 fra delinquenti, capi banda e funzionari corrotti. Dietro quella campagna per la legge e l’ordine si nasconde un utilizzo assai disinvolto - anche per gli agili standard cinesi - di tortura, arresti arbitrari e detenzione illegale. Alla spregiudicata lotta contro il crimine Bo Xilai affianca la concessione d’una serie di sussidi e sovvenzioni contro il divario sociale, che lo rendono assai popolare. In cambio chiede soltanto oceaniche partecipazioni alle cerimonie convocate nei parchi cittadini per far riscoprire a giovani e anziani le vecchie canzoni orgoglio del comunismo nazionale. A vegliare compiaciuto su questi sforzi c’è sempre il capo dei servizi di sicurezza Zhou Yongkang. L’ormai 70 enne eminenza grigia della vecchia guardia maoista, costretto per limiti di età a lasciare a ottobre la sua poltrona di membro del Comitato permanente, vede in Bo Xilai un fedele e devoto successore. Ma il vero obiettivo dei due è impedire la nomina a presidente di Xi Jinping, attuale vice e successore designato di Hu Jintao.

Dopo la misteriosa morte a Chongqing di quell’inglese considerato il socio d’affari occulto di Gu Kailai, intraprendente moglie di Bo Xilai, qualcosa incomincia ad andare storto. Ai primi di marzo Wang Lijun, il capo della polizia di Chongqing legato a doppio filo a Bo Xilai e informatissimo su tutti i dettagli della morte dell’inglese viene accusato di progettare una fuga all’estero e subito arrestato. Due settimane dopo arriva la deposizione di Bo Xilai.

E mentre giornali e siti internet alimentano le voci sull’acquisto di 50mila fucili finiti nei depositi del signore di Chongqing i signori di Pechino vivono nell’incubo d’un golpe capace di far spiccare alla Cina un grande salto nel proprio passato.

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