Gentile Direttore Feltri, le cronache quotidiane ci trasmettono l'istantanea raccapricciante di un Paese dove si scende in piazza e si protesta contro le forze di polizia, accusate di razzismo e anche di essere assassine. Ogni settimana abbiamo il nostro bollettino di agenti feriti, finiti in ospedale, eppure continuiamo a prendercela con loro, cornuti e mazziati, agenti che a me sembrano le uniche vere vittime di un sistema malato che giustifica il crimine e combatte la legalità. O mi sbaglio?
Fulvio De Lorenzo
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Caro Fulvio,
non sbagli affatto. La morte di Ramy non è che un pretesto per scaricare odio, rabbia e aggressività contro le nostre forze di polizia, quindi contro lo Stato. E tutto questo costituisce la manifestazione di una insofferenza diffusa, che è stata a lungo latente, nei confronti di quella legalità di cui tu parli, sentimento nutrito in particolare dalla comunità di migranti islamici che vive sul nostro territorio ma che rigetta le nostre regole, a quanto pare. Questa gente scende in piazza per Ramy, come se Ramy fosse stato ucciso dallo Stato, trascurando le circostanze in cui è avvenuta la morte del ragazzo, il quale - lo ricordo - scappando, insieme al suo amico, dai carabinieri, dopo avere forzato un posto di blocco, è rimasto vittima di un incidente stradale a causa della condotta criminosa e pericolosa sua e del tunisino che guidava lo scooter. Nessuno li ha investiti, tamponati, messi sotto, come si usa dire. Il tentativo di individuare un colpevole nei carabinieri, che stavano compiendo il loro dovere, è un'operazione indecente e indegna, di cui si sono resi autori non soltanto coloro che da settimane scendono in piazza nelle città italiane, non solo a Milano, disseminando violenza e disordini, ma anche politici e intellettuali, che mediante le loro dichiarazioni hanno sdoganato l'uso della forza bruta contro i nostri operatori della sicurezza, esponendoli a questi quotidiani atti di sopraffazione. Che il motivo addotto per mettere a ferro e fuoco le città, ossia la morte di Ramy, sia assolutamente pretestuoso lo si evince dal fatto che a Bologna, in nome di questo giovane di cui, per carità, mi dispiace ma che se l'è andata a cercare, è stata assaltata la sinagoga. Sono stati gli ebrei ad ammazzare Ramy? No. E allora perché prendere di mira la comunità ebraica? Questi atti di vandalismo e queste aggressioni alle nostre forze di polizia hanno una matrice: l'odio islamico nei riguardi degli ebrei e dell'Occidente, acredine che bolle in una sorta di pentola a pressione in tutta l'Europa e che in Italia è esplosa in maniera dirompente in questi giorni prima nel quartiere Corvetto, a Milano, e poi nel resto della penisola. A testimoniarlo è altresì il fatto che questi facinorosi sventolano bandiere palestinesi, legando la vicenda di Ramy, che era di origine egiziana e non palestinese, alla guerra in corso tra Israele e Hamas. Cosa viene rivendicato precisamente? Tutto e nulla. Si manifesta in strada, attraverso il lancio di sassi, sputi, petardi, bombe carta e oggetti di ogni tipo contro i poliziotti, un incontenibile rancore verso la nostra civiltà.
Insomma, di fondo, c'è un problema che non possiamo più negare, essendo sotto gli occhi di tutti: una buona percentuale degli extracomunitari che abbiamo accolto, aprendo loro le braccia, ci disprezza, non ha alcuna intenzione di integrarsi e di adeguarsi al nostro stile di vita e alle nostre leggi, tanto da ribellarsi con ferocia alla polizia che vigila sul rispetto della legalità, e pretende che siamo noi a rinunciare alle nostre regole, come quella che impone di fermarsi ai posti di blocco o quella che impone ai carabinieri di inseguire chi non lo fa.
Le violenze di questi ultimi giorni, a cui abbiamo assistito a Torino, a Milano, a Roma, a Bologna, preoccupano alquanto e ci dicono che la situazione è già grave, che forse abbiamo troppo lasciato correre in nome di valori progressisti che stanno annientando la società civile e lo Stato di diritto. O lo Stato reagisce con forza adesso e si fa rispettare, trasmettendo e difendendo il principio che la legge vale per tutti e che non si fanno sconti a certi individui solo perché sono forestieri, che determinate norme e procedure non vanno messe in discussione, che chi scappa deve essere inseguito assumendosi i rischi a cui lo espone la sua condotta pericolosa, che la libertà di manifestare non implica il diritto (inesistente) di insultare gli agenti e di picchiarli spedendoli in ospedale, o siamo finiti. La partita si gioca adesso. Ed essa è determinante. O vivere o soccombere. O lo Stato di diritto o il Far West. O la legge o la violenza.
Lo Stato non tema di adottare il pugno duro. Non si giustifichi. Non retroceda.
La situazione richiede, con estrema urgenza, il ricorso alla forza, pena la perdita irreversibile di controllo dello Stato su interi quartieri ormai a maggioranza islamica nonché il dilagare di un clima di impunità che sarà terreno fertile per ogni genere di crimine.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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