Petraeus nella bufera Ma quanta ipocrisia sulle torture in guerra

Il generale accusato di essere coinvolto nell'uso sistematico di metodi illeciti in Irak

Petraeus nella bufera Ma quanta ipocrisia sulle torture in guerra

Dopo il sesso, le torture. È l'ultima tegola sulla testa del generale David Petraeus. E minaccia di far definitivamente a pezzi l'icona di un generale eroe, già incrinata dalle rivelazioni sulle storie di letto e mail con l'amante biografa Paula Broadwell. L'ultima botta arriva dal quotidiano inglese The Guardian e dalla Bbc in lingua araba. Secondo l'inchiesta giornalistica dietro al «surge» - l' offensiva con cui il generale rovesciò le sorti della guerra in Iraq - non ci fu solo una raffinata strategia anti insurrezionale, ma anche un bieco e sistematico utilizzo di sevizie e carnefici. Sul fronte oscuro e inconfessabile della vittoria agivano i colonnelli Jamees Steele e James Coffman, due veterani delle guerre sporche americane spediti in Iraq dal Pentagono per organizzare una rete di torturatori, raccogliere informazioni sugli insorti e condividerle con David Petraeus.

La storia è probabilmente tanto orribile quanto reale. Ma lo è quanto la guerra combattuta in quei giorni in Iraq. Quando, nel 2006, Petraeus assume il comando a Bagdad i kamikaze di Al Qaida colpiscono ovunque uccidendo ogni giorno centinaia di civili innocenti. Nessuno in quei terribili frangenti può illudersi di vincere impiegando esclusivamente mezzi leciti. Lo stesso Petraeus ammette il ruolo delle forze speciali inglesi ed americane mandate ad assassinare i vari comandanti delle cellule al qaidiste. Operazioni sporche, equiparabili - dal punto di vista del diritto - ad esecuzioni extra giudiziali. Operazioni perseguibili e condannabili al pari della tortura. Ma ha un senso perseguire chi usa ogni mezzo per combattere i terroristi, ovvero chi punta sull'orrore per seminare il panico tra i civili e il nemico? La domanda è tanto antica ed ipocrita quanto la guerra. Per il generale francese Marcel «Bruno» Bigeard, l'ufficiale mandato nel 1957 a sedare la rivolta della Casbah, ma accusato poi di aver usato metodi brutali per catturare i capi del terrore algerino, la tortura era un «diavolo necessario». Sull'argomento i benpensanti italiani farebbero bene a non indignarsi troppo. Le indagini che portano nel gennaio 1982 alla liberazione del generale americano Dozier rapito dalle Brigate Rosse sono costellate, come rivelato di recente dal commissario di polizia Salvatore Genova, da maltrattamenti e abusi nei confronti dei terroristi nostrani in grado di fornire informazioni utili.

Chi invece pensasse di poter ascrivere l'uso della tortura alla sola amministrazione Bush e al generale di fede «repubblicana» David Petraeus dovrebbe almeno ad andare al cinema. Il recente film Zero Dark Thirty non si limita a ricostruire l'eliminazione di Bin Laden, ma chiarisce come le tecniche d'interrogatorio più «estreme» abbiano contribuito al più importante successo dell'amministrazione guidata dal Nobel per la Pace Barack Obama. Zero Dark Thirty purtroppo non è solo un film. La ricostruzione della regista Kathryn Bigelow è stata autorizzata da John Brennan, ovvero dall'attuale capo della Cia. Spassionato sostenitore delle operazioni di «rendition», delle eliminazioni extra giudiziali e di tutte le nefandezze indispensabili per «salvare vite» Brennan è stato promosso alla guida di Langley con il convinto beneplacito del presidente Obama.

Lo stesso presidente che pur ricordando come in America non ci sia posto per la tortura, non si fa scrupoli ad imporre il segreto di stato su un rapporto del Senato colpevole di rivelare il contributo dei «torturatori» nella caccia al capo di Al Qaida.

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