Sudan, la donna cristiana condannata a morte rischia anche cento frustate

Oltre alla condanna a morte per apostasia la donna dovrà essere frustata per adulterio. Ma secondo la Bbc c'è uno spiraglio positivo

Meriam e la piccola Maya, nata in carcere
Meriam e la piccola Maya, nata in carcere

Meriam Yayia Ibrahim Ishag, la donna cristiana di 27 anni condannata a morte in Sudan per apostasia, dovrebbe subire anche cento frustate per adulterio. Lo dicono i suoi avvocati, che "hanno chiesto tutto l’aiuto possibile per continuare la battaglia legale a difesa della loro assistita", spiega la presidente di Italians for Darfur, Antonella Napoli, sulla pagina Facebook dell’associazione. "Gli avvocati del Sudan justice center ci hanno raccontato che, pur avendo presentato un ricorso, se il nuovo verdetto non arrivasse entro due settimane a Meriam saranno inflitte le 100 frustate per adulterio a cui è stata condannata, oltre che all’impiccagione, lo scorso 15 maggio". Secondo la presidente di Italians for Darfur "bisogna fare presto e aumentare le pressioni sul governo sudanese. Sia Meriam che suo figlio, hanno raccontato gli avvocati, hanno contratto malattie a causa della scarsa igiene in carcere. E ora che c’è anche Maya, che ha solo pochi giorni, i rischi sono ancora più elevati: ci sono stati decine di casi di morte di neonati nella prigione di Omdurman".

Intanto mentre suTwitter va avanti la campagna per sensibilizzare l'opinione pubblica e fermare la barbarie (#Meriamdevevivere #SaveMeriam), continuano le pressioni internazionali per far annullare la condanna a morte. Una condanna "barbara" per la quale il premier britannico David Cameron si dice assolutamente sconvolto: "Non è accettabile dal mondo moderno", ha detto ricordando che quello di religione è tra i diritti umani fondamentali. E in un editoriale del Times di Londra - che lancia un appello per salvare la donna - la pena inflitta alla donna è definita "crudele e arcaica", e una chiara violazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, il cui rispetto, sempre secondo il giornale, dovrebbe essere un prerequisito per concedere aiuto e sostegno umanitario ai Paesi in difficoltà. "Una donna è stata condannata a morte solo per il crimine di essere cristiana", sottolinea il giornale, che ricorda come solo una sua abiura e una conversione all’Islam potrebbe fermare il boia. "In ogni codice civilizzato il suo reato non sarebbe un reato, ma la sua uccisione da parte del governo sudanese di sicuro lo sarebbe". Il Times aggiunge che la pressione sulle autorità sudanesi fatta dalle associazioni internazionali, come Amnesty International, è importante, ma non basta e ricorda come l’intolleranza religiosa sia sempre più diffusa.

Il marito di Meriam l'altro giorno ha potuto far visita alla moglie e alla figlia nata da pochi giorni in carcere. Lo ha reso noto lui stesso, dicendo che la moglie e la figlia stanno bene. Daniel Wani, cittadino americano originario del Sud Sudan, non aveva ancora potuto vedere la moglie e la figlia, nata martedì nel reparto ospedaliero del carcere di Omdurman, dove la donna è detenuta. Dopo le insistenti richieste alle autorità della prigione, Wani ha ottenuto il permesso di vedere entrambe due giorni alla settimana.

Si apre uno spiraglio per la scarcerazione

Le autorità sudanesi potrebbero rilasciare presto Meriam.

Lo scrive la Bbc, citando il sottosegretario agli Esteri sudanese, Abdullahi Alzareg, secondo il quale il Sudan garantisce la libertà religiosa e si preoccupa di proteggere la donna.

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