nostro inviato a Vienna
In campo dieci spagnoli e un brasiliano, undici tedeschi e tre italiani: può succedere di tutto. Ecco la finale del primo europeo targato Platini. Speriamo che nella firma ci sia anche il divertimento del marchio. Spagna e Germania si presentano per raccomandarci e raccontarci il calcio loro: forza e sostanza dei carroarmati contro brio, ritmo e fantasia dei pesi leggeri. Vienna promette perfino bel tempo, dopo gli scrosci dei giorni scorsi. Gli spagnoli caleranno in massa, si porteranno dietro re Juan Carlos e dovranno sopportare la presenza di Zapatero che non ha proprio la fama del portafortuna. I tedeschi confidano nella stella in più, che poi è Angela Merkel, la cancelliera socia di un club calcistico dell’ex Germania est, appassionata e portatrice di buone novelle ogni volta che siede in tribuna. Ci sarà lei, non si sa Michael Ballack. Ha un dolore al polpaccio e un conto aperto con le finali: è mancato in quella mondiale del 2002, quest’anno ha perso con il Chelsea. Joachim Löw la vede con ottimismo. Ma nel caso Ballack non ce la faccia, giocherà Borowski. E la Germania dovrà aggrapparsi a Podolski e a Bastian Schweinsteiger, l’ultima sua sputafuoco da gol, uno dei cinque che compongono il blocco del Bayern Monaco.
Germania che parte sfavorita, Spagna che deve rinunciare a David Villa, ma crede al quadrilatero magico del suo centrocampo. Dietro a tutti veglierà Marcos Senna, tutti seguiranno la stella cometa di Cesc Fabregas e chiederanno a Fernando Torres di ritrovare fiuto del gol. Prima di salutare Luis Aragones: «Me ne vado perché nessuno mi ha chiesto di restare».
Tre italiani in campo, che poi sono la terna arbitrale. Rosetti nella buona tradizione dei fischietti torinesi che hanno avuto in Gonella e Pairetto altri due uomini da finale. In palio una coppa e un po’ di danari pesanti. I tedeschi riceveranno 250mila euro a testa per il successo, gli spagnoli 214 mila.
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