
Io Ulisse, la bellissima autobiografia di Spinelli, spiega le motivazioni esistenziali che si trovano alla base del Manifesto di Ventotene. Il Manifesto è innanzi tutto un testo antifascista, che nasce dalla disillusione nei confronti del comunismo del giovane Altiero. È la proposizione di un internazionalismo diverso e di un'altra rivoluzione. Contro la nazione, esso immagina un modo inedito per superare lo Stato. Contro il capitalismo, concepisce l'europeismo come ideologia di sostituzione in vece di quella abbandonata. Propone un approccio giacobino. Chiunque voglia comprendere quanto differente da una sensibilità liberale e democratica, potrà leggersi il carteggio che in quel torno di tempo intercorse tra Ernesto Rossi l'altro firmatario del Manifesto e Luigi Einaudi.
Gli europeisti non si trovavano, però, solo nella piccola isola dell'arcipelago pontino. In giro per il Vecchio Continente vi erano alcuni politici cristiani e democratici mossi da medesimi ideali e, soprattutto, da un comune tratto biografico. Avevano patito sulla propria pelle alcuni dei drammi provocati dallo scisma europeo. Konrad Adenauer era nato a Colonia, capitale del Reno: il fiume che aveva segnato la divisione dell'Europa sulla quale si erano innescate Prima e Seconda Guerra Mondiale. Robert Schuman era lorenese: nella sua esistenza gli era accaduto di essere prima tedesco e poi francese. Alcide De Gasperi era trentino: per questo, suddito dell'Impero asburgico e deputato a Vienna prima di divenire il principale ricostruttore dell'Italia. Patrimonio ideale e vissuto li portava a ricercare la fine degli orrori novecenteschi attraverso il tentativo di ricucire la rottura spirituale che dal 1914 aveva squassato l'anima dell'Europa. Per avere un futuro differente, era per loro necessario ricomporre il passato; ritrovare le radici cristiano-giudaiche che un tempo avevano unificato il Vecchio Continente.
Questi due europeismi sono molto diversi. Hanno una consistenza in un caso ideologica, nell'altro identitaria. Quello di Ventotene ambisce a rivoluzionare il presente. Quello di De Gasperi & C. a costruire il futuro restaurando il passato. Vi fu un momento nel quale i due approcci proposero entrambi una soluzione federalista, ancorché differentemente intesa nel rapporto con le nazionalità. Strinsero un'alleanza quando, negli anni Cinquanta, la prospettiva di una nuova Guerra Mondiale fece ritenere a un passo l'obiettivo di un esercito europeo. Poi, passato il pericolo, tornarono ad allontanarsi. E, dalla fine degli anni Cinquanta, sul proscenio dell'Europa si affermò un'altra idea. Quella dell'Europa delle nazioni, contraria alla sovranazionalità e diffidente nei confronti degli Stati Uniti. Fu trainata dal ritorno di De Gaulle. Per un certo tempo conquistò l'egemonia. E fu proprio per contrastarla che i socialisti, originariamente nemici acerrimi, si convertirono all'europeismo. Le idee d'Europa, insomma, si declinano al plurale. Sarebbe bene non confonderle e non c'è ragione per pretendere che un testo sia assunto come una sorta di Bibbia. Se la Meloni si fosse riconosciuta in Ventotene avrebbe commesso un'eresia. Forse, in quel caso, qualcuno avrebbe fatto bene a protestare.
È altro, però, quel che è più meritevole d'esser discusso. Dal Manifesto ad oggi sotto i ponti europei è scorsa tant'acqua. L'Europa dei 27 non è né quella di Spinelli, né di De Gasperi, né di De Gaulle. È costruzione complessa e complicata. Ed essa si viene a trovare oggi di fronte a un tornante imprevisto della storia, investita da un problema che non avrebbe voluto avere: come aiutare le nazioni che la compongono a non soccombere di fronte a un ordine mondiale che si annuncia pericoloso e ostile.
Alla ricerca di una risposta, in Germania permettono a un Parlamento estinto di cambiare la Costituzione. In Francia Macron e Le Pen sembrano quasi vogliano avvicinarsi. In Italia, invece, pare che il problema lo si voglia evitare. O che si creda di poterlo risolvere invocando la Bibbia profanata.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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