Ex comunisti smemorati

Tumultuosa è stata ieri in Ungheria la celebrazione ufficiale del cinquantesimo anniversario del 1956 soprattutto diretta oggi contro gli attuali governanti di Budapest che malauguratamente corrispondono agli ex capi dell’Internazionale dei giovani studenti comunisti.
In Italia la situazione è ben diversa. Nel governo attuale non v’è traccia di comunisti confessi. Ciononostante le ombre del passato ingombrano la scena. La delegazione del governo italiano composta a settembre dal capo dello Stato Giorgio Napolitano e ora dal ministro degli Esteri Massimo D’Alema, non è stata fra le più opportune e adeguate. È mancata del tutto la doverosa riconoscenza al capo della rivoluzione libertaria antisovietica Imre Nagy che fu attirato dai sovietici in un tranello e impiccato nel 1958, due anni dopo l’inizio dell’insurrezione. I due rappresentanti italiani furono in pratica negli anni fra i più continuisti dello schieramento a favore del sistema russo e quindi dell’invasione sovietica dell’Ungheria.
Questa è la particolarità perversa che ad essi va addebitata e riconosciuta. Non sono ammissibili decurtazioni diplomatiche. Il discorso sulla brutale irruzione contro la libertà in Ungheria non è stato mai pronunciato in modo chiaro e completo e quindi gli ex capi comunisti italiani e ungheresi sono tuttora colpevoli di un errore aspro e sanguinoso.
Il punto è questo: ad esso non si sfugge nonostante la reticenza e l’evasivo comportamento del ministro degli Esteri e del principale esponente della Repubblica italiana. I loro eventuali meriti non possono farci dimenticare il loro coinvolgimento e l’inadeguato comportamento del passato e del presente. Non si tratta infatti di un episodio senza storia, ma di tutto un ragionamento politico sulla democrazia che fu travolta dai comunisti come Togliatti, Napolitano e D’Alema. I gradi delle loro responsabilità sono differenti, ma continuano a macchiare la loro biografia con l’insufficiente riconoscimento di Imre Nagy, anche se è vero che egli è stato riabilitato verbalmente nel 1989. La tragedia imposta al popolo magiaro è stata così profonda e cruenta da non consentire mezze verità e sfuggenti ammissioni.

I martiri come i membri del Comitato rivoluzionario di difesa antisovietico, il capitano Maleter e Kiraly, furono di tale fulgore da rappresentare insieme a Nagy, «dietro il quale era schierato tutto il popolo lavoratore d’Ungheria», un esempio di rottura con tutto il marxismo stalinista italiano e sovietico tale da esigere oggi una doverosa considerazione e un completo riconoscimento da parte di tutti, nessuno escluso.
La democrazia occidentale deve un grande tributo alla rivolta d’Ungheria del 1956 e non si possono ammettere eccezioni o dimenticanze di sorta.

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