È l’uomo della Lega nel consiglio d’amministrazione di Expo 2015, la società di gestione dell’accidentato evento in preparazione a Milano. Ma Leonardo Carioni, presidente della Provincia di Como e sindaco di Turate eletto sotto le insegne del Carroccio, oltre che commissario provinciale del partito, nega che il suo sia un incarico politico. Sa che non è facile credergli, anche perché è reduce da un incontro in via Bellerio con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Ed è già pronto ad aprire un nuovo fronte sulle dimensioni della società e sull’affitto degli uffici operativi: «Si sta prendendo una piega sbagliata. Vogliono fare troppe assunzioni e metter su un carrozzone con il nostro silenzio-assenso».
Quali sono i numeri che avete esaminato con il ministro Tremonti?
«Pensano di assumere 80 dipendenti e di reperire uffici per 4 o 5mila metri quadrati: un’enormità. Per fare un paragone, nel caso della Pedemontana lavorano 20 persone in 220 metri quadrati; e si tratta di lavori per quattro miliardi di euro».
Il viceministro Castelli dice che bisogna ridimensionare l’Expo per trasferire i fondi all’Abruzzo. È d’accordo?
«Sono d’accordo sì. Quando avremo i numeri esatti di quanto il governo potrà finanziare, anche l’amministratore delegato sarà sensibile al fatto. Abbiamo visto il ministro Giulio Tremonti e c’è il suo impegno a intervenire subito con il presidente Berlusconi per spiegargli la situazione. Da parte sua, Tremonti ha confermato l’impegno del governo. Il taglio certo riguarda la linea sei della metropolitana».
L’amministratore delegato Stanca dice che c’è troppa politica nell’Expo. Si sente chiamato in causa?
«Non ho detto no alla sede di palazzo Reale né ho abbandonato il cda su input della Lega. Agisco con la mia testa. Sono onorato che il Tesoro abbia individuato nella mia persona la figura da inserire nel cda della Soge. Dobbiamo ammettere che un anno di ritardi c’è stato. Nonostante ciò, con positività, penso che lavorando intensamente possiamo arrivare a concretizzare l’Expo».
Abbandonare il cda non sembra il modo migliore per evitare i ritardi. Qual è la sua proposta per velocizzare i lavori?
«L’ultimo consiglio d’amministrazione ha visto sette o otto punti all’ordine del giorno e quindi ho detto all’amministratore delegato che qualche consiglio d’amministrazione in tempi più brevi non andrebbe male. Ho consigliato all’amministratore delegato di mettere meno punti e fare più consigli perché uno ogni quaranta giorni è troppo poco. Il consiglio non deve ratificare le proposte dell’amministratore delegato ma discuterle e poi votarle».
Questo stop and go non rischia di rallentare un amministratore delegato che ha pieni poteri?
«Certo, lui ha poteri pieni, si trova in questo grosso ritardo ed è spinto ad accelerare».
L’Expo ha fatto un’altra figuraccia internazionale. Ne valeva la pena?
«La proposta di affitto di Palazzo Reale prevedeva 2300 metri quadrati a un milione e centosessantamila euro. Mi sono permesso di suggerire all’onorevole Stanca di aspettare una settimana per fare un approfondimento e diminuire la superficie richiesta. La sua reazione è stata: “o si vota adesso o mi dimetto”. Mi ha messo nelle condizioni di lasciare la seduta per evitare che il muro contro muro degenerasse. Abbiamo risparmiato parecchio anche per il futuro. Infatti, se moltiplichi per otto anni, sono 9 milioni e 600mila euro».
Si è discusso anche di stipendi. Alti, bassi o giusti?
«I consiglieri hanno 27mila euro lordi l’anno e l’ad 498mila inclusi i premi».
Vuole far notare la differenza?
«Noi consiglieri non abbiamo accettato uno stipendio basso perché siamo rimbambiti, ma per spirito di servizio. I consiglieri quando votano hanno la stessa responsabilità e gli stessi rischi dell’ad e se accettano l’emolumento basso, lo fanno per spirito di servizio, perché l’onestà delle persone non si misura con l’emolumento. Ripeto: non è basso perché siamo rimbambiti».
Chi ha mai detto che siete rimbambiti?
«Se Stanca sostiene che chi accetta emolumenti bassi o è un incompetente o ha altri affari, è un cattivo segnale. C’è tanta gente che vive con mille-milleduecento euro o vive in cassa integrazione».
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