Mi dicono che Massimo Cacciari ha scritto o ha detto di Don Verzè cose alte e nobili, e persino minacciose nei confronti di quanti abbiano messo in dubbio l’integrità morale di quell’uomo per i suoi probabili generosi errori.
Non posso che condividere questa posizione e aspettarmi che l’assumano altre personalità del pensiero, come la docente della «Filosofia della Persona » Roberta De Monticelli.
Nel caso dei due filosofi si tratta quasi di un dovere d’ufficio,essendo stati, senza manifestare incompatibilità o riserve, docenti dell’Università Vita-Salute del San Raffaele, fondata da Don Verzè. Comunque sia, io credo che sia venuto il momento di dire dell'infamia di chi ha cercato nella vita di Don Verzè altro che il desiderio di contribuire alla felicità e alla salute degli uomini, con uno schietto amore suggerito dall’amore in Dio.
Delle cose terrene, e dei conti e delle questioni materiali sono assolutamente certo che la responsabilità di Don Verzè non fu mai diretta ma sempre preterintenzionale.
Mi viene in mente oggi, che lo si accompagna al luogo dell’estremo riposo, che gli ultimi anni fra protagonismi, paradossi e parossismi giudiziari (sia in ambito religioso sia in ambito profano) ci hanno offerto uno spettacolo orribile, di mistificazione e di finzione, chiamando comportamenti umani e talvolta debolezze, con il nome delle più inverosimili cospirazioni e dei più gravi reati e intrallazzi ( P3, P4, favoreggiamento della prostituzione), trasformando in mostri uomini come Emilio Fede, Alfonso Papa, Luigi Bisignani, Lele Mora, Guido Bertolaso. Tutte bufale, falsificazioni, interpretazioni tendenziose e certamente in mala fede, per trasformare persone deboli o fragili o anche titolari di vizi privati, in pericolosi delinquenti. Non ci facciano ridere. Ci avevano già provato con una costruzione giuridica ( opera di Gherardo Colombo) smantellata dalla Corte di Cassazione, con la P2, non spiegandoci mai quali reati avrebbero commesso il Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, Roberto Gervaso, Maurizio Costanzo, Enrico Manca, Alighiero Noschese, e giornalisti come Alberto Sensini, Roberto Ciuni, Franco Di Bella. Invenzioni. Che hanno lasciato una scia indelebile di diffamazione, senza una sola condanna, con la retorica della Commissione presieduta da Tina Anselmi, e con il riconoscimento della sola responsabilità individuale, non associativa, di Licio Gelli.
La magistratura ha creato dei mostri.L’aveva tentato,senza riuscirsi, bloccata da un’ondata di indignazione, con Enzo Tortora. E soltanto il suicidio ha sottratto a questa macchina del fango istituzionale (perché tale è stata ed è) uomini valorosi come il magistrato Luigi Lombardini, umiliato da Giancarlo Caselli e dai suoi con uno stringente interrogatorio ritenuto regolarissimo dal Csm. Sconfortato, però, Lombardini si uccise.
Sono alcuni dei tanti casi di arbitraria demonizzazione. Con l’inizio delle inchieste di tendenza, su pedofilia e omofobia (spesso associate nelle inchieste della magistratura) si sono creati altri straordinari casi. Quello di Don Pietro Gelmini, uomo straordinario, umiliato, mortificato, ridotto allo stato laicale, dopo decenni di straordinaria attività in favore dei giovani: 8mila, 9mila, 10mila riportati alla salute e restituiti alle famiglie con un’opera grandiosa di assistenza, conforto, persuasione. E infine costretto a riferire di alcune insignificanti debolezze per qualche parola o carezza indirizzata ai più subdoli e maliziosi tra i giovaniche ne avevano accettato le manifestazioni di amicizia e di affetto. Nulla. Don Gelmini non ha fattonulla e la sua opera è stata sporcata, annichilita e dimenticata. Gentilezze e bontà trasformate in violenza e sfogo di bassi istinti.
Infine si è tentato con Don Verzè, che si è sottratto ai suoi aguzzini con una morte naturale (?) calcolata. Perfetta nei tempi, nel giorno in cui si bandiva l’asta del suo amatissimo ospedale.
Qualcuno per lui avrà fatto male i conti? Ebbene, l’impresa non è meno grande per questo. Ma la diffamazione patita da Don Verzè, quella sì, è certamente un reato, compiuto con l’apparente copertura del «nome del Popolo Italiano».
Così si è cercato di trovare vizi e debolezze di un uomo buono, interrogandosi sull’acquisto di un aereo di cui ha spiegato, con apparenti paradossi, l’esigenza,per evitare ( in ciò diverso da Don Gelmini) di farsi mettere le mani addosso in assurdi e irrazionali controlli cui ci siamo rassegnati. Così per andare a vedere malati Don Verzè doveva farsi toccare e magari consegnare una bottiglia di vino o la schiuma da barba, o una marmellata, proibite nel bagaglio a mano, ma naturalmente consentite nel duty-free. Uno schifo, una insensatezza con cui si cerca di dimostrare un’uguaglianza da deportati, per trovare terroristi che puntualmente sfuggono.
Senilmente irritato da questa mancanza di rispetto, Don Verzè avrà cercato di disporre di quell’aereo che talvolta qualche amico mecenate gli avrà prestato. Tutto qua. Dopo settant’anni di impegno per la medicina, per la cultura, per i valori etici. Onore a Don Verzè e disprezzo per i suoi detrattori. Ha ragione Cacciari.
Vorrei concludere: nell’elenco sopracitato (Don Gelmini, Fede,
Papa, Mora, Bertolaso, Don Verzè) delle vittime della diffamazione giudiziaria, sistematica, implacabile, orientata, non sarà che il reato innominabile che le accomuna, laici o preti che siano,è l’amicizia con Silvio Berlusconi?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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