La recente morte di Gianluca Vialli e Sinisa Mihajlovic, oltre a lasciare ricordi indelebili sulla grandezza dei calciatori ma soprattutto sul loro lato umano, ha riportato a galla vecchie paure e spettri che come la polvere erano nascosti sotto il tappeto: ma chi gioca e ha giocato a calcio a livello professionistico ha davvero più possibilità di ammalarsi di cancro rispetto al resto della popolazione?
Quali sono i rischi
Alcuni giorni dopo la loro scomparsa, infatti, sono stati numerosi gli interventi di ex calciatori preoccupati sulle sostanze che assumevano soprattutto negli anni '80 e '90: come abbiamo visto sul Giornale.it, Dino Baggio ha chiesto di far luce su alcuni integratori dell'epoca mentre Antonio Di Gennaro ha affermato che il farmaco Micoren veniva preso come se si trattasse di "caramelle". La psicosi sui tumori, quindi, è tornata all'improvviso d'attualità vista la giovane età con cui sono scomparsi i due campioni. In questo settore, però, è bene ascoltare il parere di esperti e studiosi senza farsi prendere a priori dal panico. "Parlando di un nesso fra ex calciatori e maggiori probabilità di cancro ci si avvicina davvero molto a dare un falso allarme", hanno dichiarato alcuni esperti al Corriere della Sera.
Il terreno, comunque, è impervio anche per le mancate informazioni sulle sostanze dell'epoca che andrebbero studiate e approfondite per capire se, davvero, aumentano il rischio di un tumore. Il famoso Micoren di cui ha parlato Di Gennaro è farmaco contro l'asma e la pressione bassa e veniva utilizzato perché "migliorava la respirazione presentando anche effetti collaterali prevalentemente di tipo cardiocircolatorio", ha dichiarato il prof. Francesco Massari, Oncologo e Responsabile delle Neoplasie del tratto genito-urinario al Policlinico Sant'Orsola Malpighi di Bologna. Se negli anni '70 se ne faceva uso, 15 anni più tardi è stato eliminato perché considerato sostanza dopante ma attualmente non c'è evidenza che possa provocare, a lungo termine, il cancro.
"A oggi non disponiamo di dati ufficiali che possano indicare un aumento dell’incidenza dei tumori nei calciatori rispetto alla popolazione generale" , ha spiegato Massari, ricordando che i calciatori fanno mediamente una vita molto più sana rispetto alla popolazione media generale e sono molto più controllati oltre a una dieta sicuramente più ricca di alimenti anti-ossidanti.
I legami con la Sla
Il discorso si fa differente se si parla di Sla, la Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), per la quale già da tempo alcun dati "indicano un maggiore pericolo di contrarre la malattia fra i giocatori professionisti italiani": questo è quanto ha dichiarato al Corriere il prof. Adriano Chiò, Professore Ordinario di Neurologia presso il Dipartimento di Neuroscienze ‘Rita Levi Montalcini’ dell’Università degli Studi di Torino e prima firma di numerosi studi che hanno dimostrato un nesso tra il calcio e la Sla. L'esperto ha affermato che il rischio per i calciatori è sei volte più elevato rispetto al resto della popolazione anche se le ricerche effettuate non hanno evidenziato rischi circa le sostanze ingerite piuttosto "è emerso il ruolo giocato da traumi, in particolare quelli cranici legati ai colpi di testa, uso di sostanze per il mantenimento dei campi di calcio e di allenamento (erbicidi) e, più in generale, l’attività fisica intensiva, oggi considerata un fattore di rischio rilevante per la Sla", ha dichiarato.
Insomma, non esiste un vademecun di sostanze potenzialmente cancerogene nel calcio e tutte quelle lecite non hanno legami: quelle considerate doping sono vietate perchè migliorano le prestazioni sportive degli atleti e non per il rischio di sviluppare un tumore. Invece, i casi di Sla deriverebbero da reiterati traumi di gioco e dalle altre motivazioni che ha fornito l'esperto. Anche in questo caso, quindi, nessun farmaco sotto la lente di ingrandimento. Affinché si possa dimostrare che una sostanza sia cancerogena deve essere valutata in laboratorio e in concentrazioni molto elevate oltre alla raccolta di una gran mole di dati sulla popolazione generale.
Di conseguenza, i calciatori rientrano nelle statistiche della popolazione generale, dove "un italiano su tre si ammalerà di cancro nel corso della sua vita" con le possibilità che aumentano dai 50 anni in poi: la spiegazione al Corriere l'ha fornita il prof. Massimo Di Maio, Segretario nazionale dell’Associazione italiana di Oncologia medica (Aiom).
"Anche se i casi di personaggi famosi fanno molto più scalpore, considerando peraltro che spesso sono persone 'salutiste' e in forma, non c’è modo di dimostrare che i numeri dei tumori in calciatori ed ex sono più elevati rispetto al resto della popolazione. Mancano gli studi, non ci sono statistiche. Siamo nel campo delle pure ipotesi. Gli sportivi, insomma, possono sviluppare un tumore come tutti".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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