Vanitas vanitatum et omnia vanitas, recita lEcclesiaste. «Vanità delle vanità e tutto è vanità». La condanna della vanità e dei piaceri carnali, ma anche solo dei costumi mondani, della nudità, degli orpelli e del trucco delle donne hanno dominato per secoli la letteratura edificante cristiana; i cui echi non si sono ancora spenti, se pensiamo alle recenti scomuniche dei jeans a vita bassa o dellombelico «a vista» di tante figlie, mogli e madri che profanano, in déshabillé, persino la Casa del Signore. Le pieghe delle sottane, per la Chiesa, sono da sempre il rifugio prediletto del demonio...
Sullargomento sapeva qualcosa, anzi molto, lanonimo estensore (ma destinato a esser presto riconosciuto) che nella Francia del 1675 diede alle stampe lopuscolo De labus des nudités de gorge, tradotto ora per la prima volta in italiano con il titolo Sulle eccessive scollature delle donne (Medusa, pagg. 112, euro 14; a cura di Riccardo Campi). Il trattato - che fa la sua comparsa, si badi, nella stessa epoca dei fasti e dei lussi di Versailles - è unappassionata, sferzante, rigorosa critica («messa allIndice», verrebbe da dire, considerando che lautore stesso conobbe a sua volta i rigori dellInquisizione a causa delleterodossia di alcune sue opere) dellusanza di molte femmine «che stanno con il petto, le braccia e le spalle nude e che in questo stato si accostano al tribunale della Penitenza, e persino alla santa Mensa». È un sermone in lode della pudicizia in 114 brevi paragrafi, diviso in due parti: la prima a dimostrare - chiamando in causa santi, teologi e padri della Chiesa, dallApostolo a Tertulliano - «che la nudità del petto e delle spalle è riprovevole e nociva»; la seconda, a confutare le «inutili scuse delle donne che stanno con il petto e le spalle nude».
Basterebbe la verve con cui si applicano motivazioni filosofiche-teologiche alla condanna di «atti» contrari alla natura, alla ragione, alla religione e alla pietà (lo «sguardo desiderante», ad esempio), per rendere interessante la lettura di quello che è ben più di un trattato doccasione. Ma a farne qualcosa di davvero unico è la personalità dellautore, ovvero quellabate «di mondo», spiritoso raffinato e coltissimo (la sua biblioteca era famosa per la quantità di libri rari e stravaganti) che fu Jacques Boileau (1634-1716), fratello del più celebre Nicolas (poeta, accademico di Francia e in prima fila nella ben nota querelle des anciens et des modernes), canonico della Sainte Chapelle di Parigi nonché decano della facoltà di teologia alla Sorbona. Era chiamato, vista la statura, «le petit abbé»; e per dare unidea del carattere delluomo, basti uno dei tenti aneddoti ricordati nelle sue biografie. A chi gli rimproverava certe sue frequentazioni mondane, indegne di un ministro di Dio, era solito rispondere: «Se dovessimo rompere i rapporti con tutti i reprobi, vivremmo soli».
Spirito bizzarro, labate Boileau.
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