Fereggiano, morte annunciata che Tursi ha ignorato per anni

Inizio dicembre 2009. È da allora che sul «Giornale» abbiamo cominciato a occuparci del rio Fereggiano, a rimbalzare di ufficio pubblico in ufficio tecnico per denunciare una situazione di grave pericolo, una frana che incombeva sul torrente, proprio laddove inizia la copertura stradale e l’onda di piena venerdì ha seminato morte. Ne avevamo parlato anche a febbraio 2010 e poi ancora ad aprile quando nella collina che sovrasta il corso d’acqua erano stati tagliati molti alberi, con l’intento di alleggerire il costone, ma nei fatti finendo per accelerare lo scivolamento della terra.
«La zona è stabile ma la stiamo monitorando» e poi «inizieremo i lavori tra un mese» e ancora «ci vuole un milione di euro e si tratta di una progettazione molto complessa» dicevano i tecnici del Comune, gli stessi che da un anno non azzardano più previsioni sull’inizio lavori, e oggi non se la sentono più di parlare con i media al telefono e rimandano all’ufficio stampa. Con le piogge dell’ottobre 2010, quelle che avevano devastato Sestri Ponente, lo smottamento si era fatto se possibile più minaccioso e un masso di enormi dimensioni era andato a ostruire il torrente.
«Da un anno il Comune ignora la frana. Adesso un masso fa rischiare la tragedia», avevamo titolato, sperando con il cuore che nulla di quello che invece in questi giorni si è concretizzato potesse veramente accadere. E la nostra denuncia a qualcosa era effettivamente servita: pochi giorni dopo, come per magia, l’enorme roccia era stata rimossa, lasciando però nella preoccupazione i cittadini: mentre più a monte i lavori di messa in sicurezza del torrente proseguivano per concludersi quasi trionfalmente tra i politici quattro mesi fa, già si capiva infatti che lì sotto, dove l’acqua arriva con la massima accelerazione soprattutto ora che più in alto è stato fatto ordine, nessuno sarebbe intervenuto. Eppure meno di un anno fa si erano visti dei giubbotti gialli fare dei carotaggi nella parte alta per capire la stabilità del costone, poi più nulla, fino all’altroieri quando la terra portata giù da quella maledetta collina ha inevitabilmente contribuito all’esplosione del Fereggiano.
«Se negli anni ’80 e poi ’90 avessero fatto il canale scolmatore tutto questo non sarebbe successo», si sfoga un abitante ricordando la triste storia del progetto fantasma che avrebbe dovuto permettere al rio di sfociare direttamente in mare dopo un percorso di 6 chilometri, una soluzione ritenuta prima troppo costosa e poi non indispensabile a fronte dei lavori ancora in corso per aumentare la portata del Bisagno. I fatti però hanno drammaticamente dimostrato che qualcuno, in tutti questi anni, deve aver fatto male i conti e purtroppo nel parlare del Fereggiano e di Quezzi c’è ancora molta approssimazione. Ieri pomeriggio, addirittura, in un momento relativamente tranquillo di pausa tra le piogge, sono rimbalzate, amplificate anche dal sito del Comune, notizie errate di una nuova imminente esondazione del torrente a causa di una fantomatica «diga di Quezzi» che non esiste o di cedimenti presso la Torretta di Quezzi, che è molto, troppo più in alto. Dopo che ormai in strada e nei social network un perentorio ordine di evacuazione aveva scatenato il panico si è poi capito che era caduto per fortuna solo un muretto. Un sospiro di sollievo che lascia però immutato l’allarme del costone sotto le Brignoline.


«Chissà quanto bisognerà aspettare ancora affinché gli addetti ai lavori cambino idea» avevamo scritto, in chiusura, nell’ottobre 2010. Non vogliamo ripeterci: anche quando smetterà di piovere per quelle centinaia di metri cubi di terra che incombono sul Fereggiano sarà ancora emergenza.

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