Al Festival lo show dei big Principe ripescato: fischi Palco vietato alla 15enne

Cocciante e la Mannoia, Ranieri, Bennato ed Elisa nobilitano il revival per i 60 anni di Sanremo. Ripescati Scanu e Pupo col Principe. Fuori D’Angelo, Toto e Sonohra. La minorenne Jessica Brando va in onda registrata

Al Festival lo show dei big 
Principe ripescato: fischi 
Palco vietato alla 15enne
Sanremo - Comunque è un’altra cosa. Celebrandosi, ieri sera il Festival di Sanremo si è consacrato. Celebrandosi, ha confermato che i bei tempi andati, quelli sì, avevano una marcia in più. E non c’è stato bisogno di vedere, seguire, patire, l’ingresso della «prima regina del Festival», come Antonella Clerici ha chiamato alle undici e mezza Nilla Pizzi dopo il suo ingresso incerto, circondata dai boys, accompagnata da Carmen Consoli che, bella e sensualissima con quel taglio di capelli anni Trenta, aveva appena finito di intonare Grazie dei fiori. Ieri sera il Festival di Sanremo ha finito velocemente il primo ripescaggio, salvando con facilità, grazie a televoto e parere della Sanremo Festival Orchestra, il giovanissimo Valerio Scanu, in grande spolvero nel duetto con Alessandra Amoroso in Per tutte le volte che, e con un po’ più di fiatone anche il trio Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici con Italia amore mio. Ma poi ha sforato con la gara dei giovani, visto che la quindicenne Jessica Brando non ha potuto esibirsi oltre la mezzanotte ed è stata trasmessa la sua canzone solo con un video registrato. Però l’Ariston ha fatto un altro strepitoso ripescaggio: quello del passato. Quello che non passa. Quello che qualcuno dimentica ma è sempre lì

D’accordo, c’è stata Carmen Consoli, splendida in Amore di plastica e in Mandami una cartolina ma sublime in quella Grazie dei fiori che per decenni è stata in Italia quasi una barzelletta. Ma volete mettere se paragonata con gli Aeroplani cantata (male) da Toto Cutugno e (molto meglio) da una sorprendente Belen Rodriguez per una volta meno seminuda del solito: si capisce subito perché una resiste da sessant’anni e l’altra sparirà presto. Insomma, celebrandosi il Festival si è dato la tara. Meglio prima. Ma migliorato adesso.
Dieci anni fa qui era più o meno come il Deserto dei Gobi, adesso ci sono brani che forse (forse) resisteranno un po’ di più. Certo, quando Massimo Ranieri ha iniziato la sua Perdere l’amore c’è stato un brivido anche in sala stampa, oltre che in platea e quindi figuriamoci a casa. Intoccabile. Altissimo. Non parliamone quando ha iniziato Io che non vivo senza te: brividi, signori, brividi veri. Idem per Cocciante. Vero, si è messo in confronto con Modugno in Nel blu dipinto di blu, mica poco. E l’ha fatto anche con personalità, modificando un po’ il bridge, mettendoci il suo marchio che magari a qualcuno è piaciuto pochino. Però che canzone. Con tutto il rispetto, ieri sera al ripescaggio si sono scontrati i Sonora di Baby e Pupo con il Principe Emanuele Filiberto e il tenore Luca Canonici, l’unico del trio che ha iniziato una nuova carriera (nel pop).

Per capirci, confronto impietoso. E se bravo è stato Gianmarco Mazzi, direttore artistico con un diavolo per capello vista la straordinaria difficoltà di organizzare una serata come ieri, bravissimo è stato il Festival che in questi sessant’anni ha dato pezzi di enorme musica, capaci di resistere fino a oggi, di rivivere con Francesco Renga, sempre stellare, nella Voce del silenzio, attaccata con un tono basso pieno e completo, e nell’Immensità. Per non dire di Edoardo Bennato, intensissimo in Un giorno credi. O di Elisa, che ha aperto la sfilata dei talenti prestati al Festival cantando la sua Luce (Tramonti a Nord Est) che ha vinto nel 2001 e poi continuando, lei vestita con camicia bianca e gilet nero e inedito cilindro sul capo, con un medley delle sue ultime Ti vorrei sollevare (a cappella), Anche se non trovi le parole e Your manifesto. Insomma, ieri sera Antonella Clerici ha presentato un talent show trasversale, una divertente, quasi perfetta e un po’ sadica gara tra passato e presente. D’accordo, certe canzoni come Non ho l’età di Gigliola Cinguetti, rifatta ieri sera da un Miguel Bosè non proprio a suo agio (sembrava roba da night, altro che il fragile ma fortissimo urlo di un adolescente) sono rafforzate dalla storicizzazione, sono simboli, icone, manifesti intoccabili (e difatti lui è migliorato decisamente nella sua nuova Por ti).

Ma la costruzione melodica, lo studio dei testi e l’armonia nelle vecchie canzoni di ieri sera spesso non ha paragone con quelle di oggi, che sono nuove, vergini, iniziano adesso il confronto con il tempo e auguri perché è mica facile, ammettiamolo.

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