Fiducia, l’ultima piroetta di Pallaro: "Ora sono orientato a votare sì"

Pannella rivela: sui 12 punti Prodi tentò invano di avere la firma di tutti i leader di partito

Fiducia, l’ultima piroetta di Pallaro: "Ora sono orientato a votare sì"

Roma - A fila serrate, a denti stretti, a braccia conserte. La fiducia passerà al Senato mercoledì a tarda sera, dopo che Romano Prodi avrà puntato sulle nuove priorità del governo oggi alle 17 e per tutta la giornata di domani imperverserà un «addomesticato» dibattito. I numeri infatti «ci sono», ripetono ossessivamente i leader dell’Unione, un po’ per darsi coraggio e un po’ perché nessuno pensa di vedere i senatori a vita sdegnosamente far precipitare il Paese nella crisi. I «sette magnifici sette», tutti tranne Francesco Cossiga, sono orientati per il «sì». Rita Levi Montalcini tornerà in tempo dai suoi impegni, Oscar Luigi Scalfaro sta meglio, Giulio Andreotti ha ottenuto l’accantonamento dei Dico ed è «governativo» per tradizione. Come Emilio Colombo. Sperando che Sergio Pininfarina non abbia anticipato un suo «impegno di lavoro» preso per giovedì, il passaggio a Palazzo Madama sarà quel «pit-stop» annunciato dal portavoce dell’esecutivo Silvio Sircana.
Sosta per fare benzina e «pulire il carburatore», dice Sircana. Ma se i sei senatori a vita porteranno un bel numero di ottani, il carburante di Prodi non sembra ancora «eco-sostenibile». Tirate le somme di 100 ulivisti, 26 Prc, 4 Idv, 3 Udeur, 10 Autonomie, 11 Verdi-Pdci (compreso Rossi), Fuda e Follini (in rappresentanza di se stessi), gli uomini di Prodi si sono ritrovati come sempre a quota 156 senatori elettivi. Franco Turigliatto, Turi-Gatto per gli amici, ancora gioca con i suoi topini e li ha rinviati a stasera, dopo aver sentito Prodi, in quanto «molte cose non mi convincono dei 12 punti di programma e non farò sconti su Afghanistan e Dico». Dulcis in fundo, el senador italo-argentino, Luigi Pallaro, ha chiesto (e ottenuto) un incontro con Prodi per stamane, dopo aver trasvolato l’Atlantico. Il suo ultimo orientamento è per il «sì»: era in vacanza in Uruguay, ha lasciato squillare il cellulare a vuoto per difendersi da «capi sottocapi e capetti» che lo cercano. Ha l’impressione che questo governo «non poteva tenere prima, e non tiene, non può tenere adesso». Perciò «perdiamo tempo, perde tempo Prodi e perde tempo il Paese». Pallaro era per le «larghe intese», ma «i miei elettori mi chiedono di non provocare crisi». Dunque si sta «orientando» per il sì. A patto che Prodi stamane sia «convincente» nel vis à vis, e con un però. «Però faccio sempre un però: che non sarà la fine del mondo...». Del mondo sicuramente no, di Prodi quasi certamente sì.
Ecco spiegata l’agitazione che ieri teneva avvinghiata l’intera Unione. Un eventuale, clamoroso «no» all’ultimo minuto, creerebbe «un problema politico», per ammissione dello stesso Scalfaro. «Certo non potrebbe essere sollevato da Napolitano - ha spiegato -, visto che costituzionalmente il voto dei senatori a vita vale quanto quello dei senatori eletti. Rileggendo la motivazione del Quirinale, si direbbe che il premier si sia assunto un impegno in questo senso. Non ci sono molte strade aperte: toccherebbe a lui, allora, tirare le somme».
Le tirerà? C’è chi giura che il bulldozer di Scandiano andrebbe avanti lo stesso. Ma il nervosismo di questi giorni pare testimoniare che non gli sarà facile. La sua maggioranza resta in crisi, visto che l’approvazione del mini-programma di 12 punti - come ha raccontato ieri Pannella - ha dato luogo a un vero psico-dramma, con tanto di urla e abbandono della riunione a Palazzo Chigi da parte del premier. Che pretendeva la firma di ognuno dei segretari in calce al documento.

Un errore di metodo e di merito, ha dovuto spiegargli Pannella: sia perché sarebbe stato «scorretto portare al Quirinale un documento che avrebbe legato le mani al presidente», sia perché la Rosa nel pugno rifiutava l’«assenza di ogni riferimento ai Dico». Se questo è il buongiorno, è lecito aspettare la buonanotte di mercoledì sera.

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