Il figlio di Osama ucciso da un razzo Usa «Voleva emulare le gesta del padre»

«Adesso sarà più facile pigliarlo». Mike Mc Connel, ex direttore della National Intelligence statunitense l’aveva già previsto a gennaio. Era la fine dell’era Bush, e il grande capo di tutte le spie americane dedicò il suo discorso di commiato al probabile passaggio di Saad Bin Laden dall’Iran al Pakistan. Otto mesi dopo la previsione si è avverata. Saad Bin Laden, 27enne figlio del capo di Al Qaida, è stato incenerito dal missile di un aereo senza pilota Predator. Così ha annunciato la radio pubblica americana Npr. Mancherebbe ancora la prova del Dna ma l’antiterrorismo parla di ragionevole certezza, che oscilla tra «l’80 e l’85 per cento»
L’operazione messa a segno qualche mese fa, ma annunciata solo 24 ore fa non è una grande vittoria, ma un punto simbolico nella guerra contro Al Qaida, il suo evanescente capo e i possibili eredi. Saad Bin Laden non era destinato a ereditare lo scettro del comando e probabilmente non era neppure ai vertici dell’organizzazione. Il vero successore, il figlio chiamato a seguire il cammino di Osama si chiama Mohammad, è un anno più giovane di Saad e nel gennaio 2001 sposò la figlia di Mohammad Atef il capo militare dell’organizzazione ucciso poche settimane dopo l’11 settembre. Nonostante il suo ruolo limitato all’interno dell’organizzazione Saad era comunque uno dei tre più anziani e più conosciuti fra i quindici figli messi al mondo dallo sceicco del terrore e dalle sue sei mogli. La sua eliminazione non è stata il frutto di una caccia serrata o di un’operazione preparata minuziosamente. «Diciamo che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato», rivelava ieri una gola profonda dell’intelligence Usa. L’operazione puntava insomma a far la festa a un altro più importante capo di Al Qaida.
L’eliminazione di Saad mette comunque fine a una vera e propria saga. Le leggende sulle sue frequentazioni iraniane avevano alimentato le più disparate teorie sui legami tra Al Qaida, un’organizzazione rigorosamente sunnita, e i servizi segreti dell’Iran sciita. Tutto inizia negli ultimi giorni del regime talebano quando papà Osama e una parte della leadership di Al Qaida abbandona l’Afghanistan e si rifugia nelle regioni tribali alla frontiera pakistana. Saad e alcuni importanti comandanti del gruppo terroristico come Saif al-Adel, uno degli organizzatori degli attentati alle ambasciate in Kenya e Tanzania del 1998, scelgono la strada dell’Iran. Cosa succeda oltre quella frontiera non viene mai ben chiarito. Secondo alcune tesi i servizi segreti di Teheran e i pasdaran della Brigata Al Quds garantiscono libertà d’azione al gruppo pur controllandone i movimenti. Secondo altre tesi Saad e gli altri non vengono individuati dagli iraniani fino al 2003 quando vengono confinati agli arresti domiciliari. In quel periodo di Saad cerca di emulare il padre organizzando, stando all’intelligence americane, l’attentato contro la sinagoga di Tunisi messo a segno nel 2002.
Dopo quel colpo il rapporto con i servizi segreti iraniani diventa complesso. «La relazione è a dir poco complicata, considerarli parte della stessa squadra sarebbe semplicistico», spiega una fonte dalla Cia. Secondo alcune interpretazioni Saad e i suoi erano considerati possibili oggetti di scambio con Washington. Ogni qualvolta Washington ne chiede la consegna le autorità iraniane si guardano bene, però, dall’offrire risposte esaurienti.

Il tira e molla dura fino allo scorso autunno quando qualcuno - ai vertici del regime di Teheran - decide di mettere alla porta l’indesiderato ospite e Saad inizia quell’ultimo trasferimento che lo porterà all’appuntamento con la morte.

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