UN FIGURANTE A PALAZZO CHIGI

Il governo Prodi va, ma a rotoli. Questa diagnosi infausta è, chi l’avrebbe mai pronosticato, bipartisan. L’enuncia l’opposizione, e questo potrebbe essere addebitato a un malevolo pregiudizio sfavorevole della reazione in agguato. Ma il guaio è che la paralisi progressiva del centrosinistra - l’unica cosa progressiva che gli sia davvero rimasta - viene registrata e avallata dagli ambienti amici, dai mezzi d’informazione pronti un tempo a estasiarsi per ogni borbottio del Professore, da sondaggisti il cui scrupolo professionale la vince evidentemente sulle simpatie politiche.
Un sondaggio eseguito da Ipr Marketing per conto di Repubblica - già ieri ne abbiamo dato conto - è stato impietoso fino alla crudeltà per Prodi e per i ministri. Consenso a picco. Non parliamo qui di manifestazioni episodiche che pure hanno - come gli insulti veronesi a Prodi e gli applausi a Berlusconi - un loro preciso significato. Parliamo di un rilevamento demoscopico ampio e attendibile.
L’Unità se ne occupa in una pagina interna, ma dice pane al pane. «L’effetto politico dell’ultimo sondaggio è chiaro, la fiducia è in caduta». Rina Gagliardi ammette implicitamente, su Liberazione, che la rifondazione del comunismo è di là da venire, e che l’unica prospettiva seria è quella d’un affondamento del governo. Ma si consola rovesciando tutte le colpe su Tommaso Padoa-Schioppa, «un tecnico, un non eletto, un fine acrobata dei conti abituato più a frequentare banche che aggregazioni di cittadini o parlamenti». Vedendolo scaricato così brutalmente, vien quasi da solidarizzare con il ministro del Tesoro. Ma il peggio sta nelle bacchettate di Repubblica, la corazzata della flotta cartacea prodiana. L’editorialista Massimo Giannini così definisce la strategia del governo: «Dire che c’è confusione, a questo punto, è un puro eufemismo».
Se Padoa-Schioppa è nel tifone delle critiche, Romano Prodi sembra invece nel pallone. Mi scuso per il linguaggio grossolano: ma il premier ha fatto il possibile per meritarselo. È stato, nel ribollire di polemiche e di scandali, arrogante e ondivago. Le sue sortite maldestre non erano più semplici gaffe, erano la prova d’uno smarrimento profondo reso più evidente da atteggiamenti presuntuosi, e grottescamente trionfalistici. La vicenda Telecom, con le quattro successive svolte a U, è stata esemplare per incoerenza e sfacciataggine. Il grande accusatore che tuonava contro il vittimismo di Berlusconi - instancabile nel denunciare un vero o presunto assedio ostile della stampa - ha mutuato spavaldamente la tecnica del Cavaliere: scagliandosi a sua volta contro i quotidiani che - unica virtuosa eccezione l’Unità - si sono intestarditi a seguire l’affaire Telecom, ritenendolo interessante, e non hanno dato allo spionaggio cui il premier sarebbe stato sottoposto lo stesso risalto che ebbe l’allunaggio di Neil Armstrong. In proposito il Professore - prestato all’economia ma non alieno da sofismi filosofici - ha spiegato che «non sapevo nulla della relazione di Angelo Rovati» ma «anche se lo avessi saputo che importanza aveva», talché «il dibattito sul fatto che io sapessi o se mentivo o dicevo la verità, è qualcosa senza importanza». E ancora, in un impeto d’orgoglio luciferino: «Non possono cacciarmi perché non saprebbero che cosa fare».


Prodi non è l’ultimo venuto, ha una lunga esperienza di manager pubblico e di politico. Colpisce che si esprima a questo modo, come se non fosse il vero Prodi ma un attore che ne fa la parodia. Oltretutto un cattivo attore.

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