Finalmente ora anche alla sinistra piacciono le gambe delle donne

Per lanciare la Festa dell’Unità, il Pd azzarda una citazione di Marilyn Monroe. Ma parte il coro moralista "de sinistra": dalle vetero femministe alla Camusso

Finalmente ora anche 
alla sinistra piacciono  
le gambe delle donne

Roma E per fortuna non hanno preso il «lato B». Della fresca ragazzotta scelta per il manifesto che pubblicizza la festa romana dell’Unità si vede tutt’altro: due gambette sgambettanti, forse vogliose di movimento, di corsa, scoperte da una folata impertinente. «Cambia il vento», ammicca la scritta evocando le recenti vittorie elettorali (presunte, se pensiamo al Pd).
Banale citazione da Marilyn Monroe del film Quando la moglie è in vacanza (Billy Wilder, 1955, vaporosa gonna bianca gonfiata dal vento del metrò). Segnale di ritrovata libertà, se non di libertarismo, dimostrazione che finalmente all’alba del nuovo millennio anche alla sinistra piacciono le gambe delle donne? Macché. Per carità. Lasciamo perdere.

Appena affisso, il manifesto pubblicitario ha sollevato - magari raggiungendo anche l’effetto voluto - il classico inutile polverone di proteste, distinguo, indignazioni.
Per prime si sono scandalizzate quelle del coordinamento «Se non ora quando?», le signore scese in piazza a difendere l’onore femminile messo in crisi dalle inchieste sulle «ragazze dell’Olgettina», che si sono definite «sconcertate, stupite e attonite». S’è quindi mobilitato il Telefono Rosa (sì, anche i telefoni hanno una dignità, e un presidente talvolta donna), «offeso» per l’evidente «lesione», che ha minacciato senza ironia il boicottaggio della festa se l’«oggetto misterioso» non verrà ritirato quanto prima. Poteva mancare la conferenza regionale e romana delle donne del Pd? Non poteva, e s’è dissociata «fortemente, ribadendo che l’uso strumentale del corpo delle donne è bandito dalla nostra cultura e azione politica». Chi mancava? Qualche pezzo grosso? Ce l’abbiamo: il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, interpellata sull’argomento ha trovato il tempo per dire la banalità tanto attesa e denunciare, nella società degli uomini, una latente «invidia delle donne e mancanza di originalità».

Sul web s’è così scatenata la caccia alle (delle?) streghe, con proteste grondanti collera e l’autoironica richiesta di «Tafazzi segretario».
Per fortuna, sia il movimento delle lesbiche e dei transessuali, sia i giovani pidini, hanno rimesso in piedi un minimo di senso della misura. Prendendo partito senz’altro per le gambette. Se si vuole spezzare una lancia in tal direzione non è però tanto per proteggere dalla furia erinnica la segreteria romana del Pd, che s’è costretta a una lacrimevole autodifesa («Un paio di gambe sono automaticamente equiparabili a un’immagine offensiva o volgare come quelle delle «Olgettine»? Qual è il confine oltre il quale comincia la mercificazione? È davvero riprovevole quella citazione di Marilyn? Perché non ne discutiamo alla festa?», ha guaito il segretario Miccoli).

Sembra di rivederli i compagni trinariciuti degli anni andati, inchiodati all’impagabile rito del «dibattito». «Compagne, cercate di capirci. Non volevamo offendervi! Discutiamone...». Eppure è dal Dopoguerra che in Italia si fronteggiano ancora le stesse due sinistre, lontane antropologicamente e dunque inconciliabili tra loro. Una, intrisa di moralismo bacchettone e femminismo anacronistico, ancora si autorappresenta triste, povera, possibilmente brutta e incline alla bruttezza, refrattario al senso estetico, alla joie de vivre come all’esprit de finesse. Un protocomunismo che si sposa alla perfezione con quanti, della religione, prediligono la parte autoflagellante. Il cilicio e la mortificazione.

Piuttosto che le gambette «spontanee e frizzanti» (come le ha

definite l’assessore provinciale del Pd, Prestipino), magari costoro avrebbero preferito la capigliatura della Bindi scossa dal vento.
Davvero torna in mente Moretti, quello del «continuiamo così, facciamoci del male».

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