La fine di un'illusione

Il Partito democratico è già fallito? La lettera di Piero Fassino a Romano Prodi ha aperto un capitolo completamente diverso da quello che abbiamo letto con le lacrime, le ovazioni, le scissioni, gli abbracci dei congressi di scioglimento della Quercia e della Margherita. Improvvisamente sono state scritte parole drammatiche. Incomprensibili ai più, ma certamente non all'autore, al destinatario e a qualche altra persona.
Provo a mettermi nei panni di uno di quei «sinceri democratici» che si sono sentiti investiti di una missione storica per salvare l'Italia, che hanno aperto i gazebo, che si sono messi in fila per votare alle primarie, che hanno lavorato di gomito nella campagna elettorale, che hanno visto avvicinarsi il traguardo di un'impresa comune, che hanno dovuto soffrire nel momento in cui hanno rinunciato ad una parte della propria storia, che non hanno capito la fuga di tanti compagni, che stanno male quando i loro eletti si dividono sull'Afghanistan e quando i loro ministri litigano sui Dico. Bene. Cosa devono pensare nel momento in cui, nero su bianco, l'onesto Fassino parla di «veleni», mentre poche ore dopo Prodi risponde, con la sua aria cupa e la sua flebile voce, che va tutto bene? Ed era il Fassino che poche ore prima, in tv, aveva spiegato che era giusto affidarsi ad un «ragioniere» (parola di D'Alema) per coordinare una «svolta storica» e che il percorso era lineare.
Sono autorizzati a pensare, i nostri «sinceri democratici», che non è un inizio ma una fine. Che non c'è un «incontro storico» fra culture riformiste. Che non c'è una leadership unita. Che ci sono solo diffidenze e rivalità personali e scambi di messaggi oscuri. Sono autorizzati a pensare di essersi solo illusi.
Le parole scelte dal segretario della Quercia, per quanto difficilmente comprensibili, dicono infatti che il Partito democratico non c'è. Che è un miraggio. Una scatola senza progetto. La banale riduzione della politica al gioco del meccano. In questi mesi non c'è mai stata una risposta convincente a chi chiedeva quali fossero i contenuti dell'impresa. C'erano solo risposte al negativo. Ancora in questi giorni, dopo la sconfitta della gauche in Francia, abbiamo sentito un'intera classe dirigente, da Amato a Rutelli, spiegare che la sinistra è indietro, secondo qualcuno di dieci, secondo qualcun altro di vent'anni. Abbiamo assistito alla scoperta del problema della «sicurezza dei cittadini». Stiamo vedendo ministri che si scontrano - come non succede da nessuna altra parte al mondo - su chi invitare e chi no ad una conferenza sulla famiglia. Si è riaperta la rissa sulle tasse. È una conflittualità costante che riflette solo un vuoto di idee.


Senza aspettare la lettera di Fassino - e il vertice che cercherà di immergere nel valium i protagonisti della contesa - gli italiani si sono accorti di questo «falso in atto pubblico». Finora i sondaggi sono stati chiari e, forse, ce ne sono di nuovi ad indicare l'ulteriore caduta dell'appeal del Pd e ad alimentare il nervosismo delle leadership. Il fallimento è dietro l'angolo.

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