Fini e quell’ossessione per il Nord

Il movimento "scissionista" del presidente della Camera si presenta come paladino del Sud contro le richieste di Bossi L’obiettivo? Catturare gli elettori meridionali cercando di parlare anche ai "padan". Ma è un sentiero strettissimo

Questo Nord sconosciuto e straniero. Fini è di Bologna ma il suo destino è a Sud. È a Roma che trova Almirante. È lì che nasce An, quando Berlusconi si allea su con Bossi e giù con Gianfranco. E a Sud si trova la roccaforte delle sue speranze politiche.
Fini si è ritrovato con il Nord nemico. Il Nord è Bossi senza tricolore. È il tradimento di La Russa. Sono le cene di Arcore, da cui si è sentito escluso, messo da parte per una simpatia da vecchi lumbard tra il Cavaliere e il Senatùr. È l’anti Nord del «meglio gay che leghista». Il Nord di Fini è un’ideale che non c’è. È una scommessa. Come la destra che da anni tiene in cantiere. Forse è qui il suo paradosso politico. Costruire il suo futuro intorno a un «partito del Sud», che vuole essere nazionale, ma rischia di diventare soprattutto un «anti Nord». È per questo che i finiani non moriranno leghisti. Non c’è pericolo. La nuova «ideologia» di Fini si nutre ancora molto di tattica, ma su un punto è abbastanza chiara. È una risposta romana e sudista alla «questione settentrionale». Attenzione. Questo non significa che l’ex leader di An sia una sorta di De Mita o Gava. Non è uno scontro tra vecchio e nuovo. Non significa che Fini non indossi un vestito liberale o liberista. Nulla di tutto questo. È indubbio però che i finiani stanno cercando la loro identità in contrapposizione al nordismo culturale di Bossi, Berlusconi e Tremonti. E anche se Fini è cresciuto a Bologna, sa benissimo che le possibilità di trovare uno spazio per il suo futuro politico crescono in direzione Sud.
La Bossi-Fini è lontana un secolo. Il Nord finiano non è più immigrazione, sicurezza, partite Iva. È la generazione Balotelli. È il fascino del multiculturalismo. È l’elogio di tutto ciò che è ibrido e sfumato. È il suono del muezzin che nelle nebbie lombarde crea una sorta di incantesimo da terra di nessuno. È la finanza islamica. È, insomma, l’altra faccia del Nord. Tutto quello che non è Carroccio, Fini sta cercando di farlo suo. Ma è un mercato ristretto. È lo stesso su cui si muove la sinistra. Non c’è spazio per uno, figuratevi per due. Questo, naturalmente, lo sa anche Fini. Il suo «nordismo alternativo» non serve a catturare voti settentrionali. È un manifesto culturale che dovrebbe funzionare nel resto d’Italia. E di fatto spezza l’Italia in due.
I leghisti hanno cominciato a etichettare la corrente finiana come il «partito del Sud». Non c’è più Roma ladrona, ma una forza meridionalista che non vuole le riforme. Questo è il succo del discorso che hanno fatto Calderoli e Castelli, ma che diventerà uno dei tormentoni padani dei prossimi anni. Fini dirà che lui le riforme le vuole. Non solo. Il suo partito ipotetico farà del riformismo colto e nazionale un’identità politica. Cosa dicono i finiani? Noi siamo l’altra destra, quella storica, quella non populista, quella senza interessi, quella che parla di liberismo. Ottimo. L’unico problema è che l’equazione non torna. C’è un intoppo. Qualcosa che i teorici del finismo fingono di ignorare. I finiani parlano di liberismo a statali, colletti bianchi e intellettuali. Questa al momento è la base sociale degli scissionisti. È con loro che cercheranno di riscrivere la legislazione del lavoro, con l’appoggio morale di Casini e D’Alema. La scommessa è alta. Fini deve muoversi a Sud, ma allo stesso tempo deve convincere il Mezzogiorno che la ricetta anti-nordista non è l’assistenzialismo.
Fini ha una sola carta politica a disposizione. È la riforma del fisco. Fini per sopravvivere deve fare una mossa populista: urlare tutti i giorni di abbassare le tasse. Ed è quello che, dicono, si sta preparando a fare. È l’asso che butterà sul tavolo delle riforme. La Lega parlerà al Nord di federalismo, i finiani parleranno alle piccole e medie imprese venete, piemontesi e lombarde di tagli fiscali e agevolazioni al credito. La speranza è quella di spiazzare i governatori del Carroccio e mettere in difficoltà i conti di Tremonti. Ma l’assalto alle roccheforti sociali del berlusconismo è un’impresa titanica da portare avanti con un pugno di uomini e con una ambiguità nel messaggio politico.

Alla fine di questo strappo non si è ancora capito chi e cosa siano davvero i finiani. Troppe identità e il rischio che prevalga il fattore negativo. Laicisti contro i cattolici. Liberisti al Sud. Multiculturali al Nord. E, come si è visto, antiberlusconiani nel Pdl.

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