Fini sfida il Cavaliere: «Con gli slogan si fanno soltanto chiacchiere»

Il professor Luigino Compagna, napoletano, liberale per blasone di famiglia, da qualche tempo senatore del Pdl, sa che quando si comincia a parlare di doppio turno, proporzionale, sistema tedesco, francese, israeliano o neozelandese tira brutta aria per le riforme. Tutte le buone intenzioni finiscono nel cestino della carta straccia. È quello che lui chiama il rischio del «mariosegnismo». Si parla, si spera, si vincono referendum e poi ci si incarta.
Le chiacchiere sui sistemi elettorali non sono però inutili. Sono una cartina di tornasole. Ti spiegano anche certi malumori. Come mai Fini si mette a rimbeccare Berlusconi su questioni da manuali di scienza della politica? Non è solo voglia di litigare. Nei prossimi tre anni, senza elezioni, tutti i protagonisti in campo si muovono per piazzarsi in attesa della prossima gara. Le regole con cui si decide chi vince e chi perde non sono neutre. Lo sa Fini, lo sa Berlusconi, lo sanno Bersani e Di Pietro. I discorsi sulle riforme fanno capire quali sono le ambizioni dei leader.
Fini dice che la prossima settimana incontrerà il Cavaliere. L’aria che tira fa sospettare che non sarà un caffè tra amici. Il premier si è caricato tutto il peso delle regionali, Polverini in testa, e non ha voglia di sofismi. Il cofondatore si gioca nei prossimi tre anni la sua identità politica. Il messaggio è banale ma chiaro: Fini non è Berlusconi. La sua sopravvivenza dipende da come riuscirà a marcare la differenza. Il resto è un rapporto umano sfilacciato. Non c’è fiducia. Non c’è sintonia. Questa stagione di riforme è l’occasione che Fini aspettava e se la giocherà senza indietreggiare di un passo. La giornata di ieri è il preludio di quello che si vedrà per lungo tempo. Rassegnatevi.
Berlusconi è a Parigi e davanti a Sarkozy elogia il modello francese, il semipresidenzialismo, ma boccia senza giri di parole il doppio turno. Lo aveva già fatto giovedì stoppando Fini. Non è difficile capire il motivo. Questa legge elettorale è quella che usiamo per i sindaci. Al primo turno tutti i partiti si presentano divisi. Poi i primi due vanno al ballottaggio. È un sistema che di fatto coalizza tutti gli avversari di Berlusconi. È un uno contro tutti. E l’uno è Silvio. Questo Fini lo sa benissimo. E infatti risponde. Anzi. La prima mossa la fa Italo Bocchino sul sito di Generazione Italia. Scrive: «Il presidenzialismo con il proporzionale esiste solo in Sud America e in Israele, ha funzionato malissimo». Bocchino non nomina il Cavaliere. Lo stesso Berlusconi non ha mai parlato di sistema francese con il proporzionale, ma il sospetto che il «Sud America» non sia casuale circola tra i cronisti parlamentari. I malpensanti dicono: la tregua dei finiani è finita.
Si sa che questi sono giorni di grandi riunioni nella corrente di Generazione Italia. Il laboratorio culturale sta preparando una serie di grandi progetti per rinnovare il Paese. È in cantiere un «patto generazionale» per cambiare la legislazione sul lavoro. Si parla di nuovo welfare e di tagli alle tasse. L’obiettivo di Fini è sfruttare questa pausa elettorale per costruirsi un’immagine di grande leader riformatore. Ma c’è anche l’impressione che questo viaggio non voglia farlo a braccetto con Berlusconi. È la strategia della «differenza», appunto.
Fini sta passeggiando per le strade di Roma ed è da qui che replica a Berlusconi: «Con gli slogan si fanno solo chiacchiere. Nessuno convincerà mai, non tanto me, ma il 99 per cento dei costituzionalisti del mondo. Come si tiene in piedi il modello francese con una legge elettorale proporzionale a turno unico? Niente pasticci. O si prende tutto o nulla». Qui non c’è in ballo solo una differenza di vedute. Il presidente della Camera non usa le parole a caso e tutte portano a Berlusconi: «La cosa meno nobile quando si parla di riforme è dire a chi conviene». E poi: «Evitiamo di prendere scorciatoie, acchiappare parti di un modello e applicarle su altri». E ancora: «Si parli di elezione diretta del capo dello Stato ma non si scomodi De Gaulle, per un minimo di rispetto per quella che è la realtà costituzionale di quel Paese».


Il tono di Fini ricorda quello delle lezioni di uno dei padri di An, il professor Fisichella. Un passante non potrebbe mai immaginare che sono rivolte al cofondatore del suo stesso partito. Ma di fatto è così. La road map sulle riforme? Una cartina di tornasole.

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