A Fini tocca giocare in difesa e sperare nell’autogol leghista

La tattica anti-Carroccio di Gianfranco: nessuna guerra, ma sostegno al semipresidenzialismo. Che in Francia ha fatto sparire le "terze forze"

Roma Lasciato solo a sfogliare la margherita del futuro (il proprio), il presidente della Camera lascia cadere gli ultimi petali con grandi sospironi. Il risultato elettorale non esaltante? La scalata leghista, finita inopinatamente sul Quirinale? Gli appuntamenti mancati con Silvio? Il rompicapo delle riforme? Tutto ampiamente prevedibile, niente di irrimediabile, la partita da giocare è lunga.
Gianfranco Fini, dopo l’irritazione a stento contenuta nello studio di Montecitorio, fa proprie le prescrizioni del vecchio saggio. Come nell’Arte della guerra di Sun Tzu, sta cercando di assecondare e comprendere le logiche del «nemico» per rivoltargli contro la sua stessa forza. Una mano probabilmente gliel’ha data la precipitazione del ministro Calderoli, affrettatosi a presentare al capo dello Stato una prima bozza di riforme ancora tutta da rifinire. Per tagliare la strada proprio al ruolo di «ascolto e tramite» detenuto dal presidente della Camera nei confronti del presidente della Repubblica? Bene, anzi male. Perché quello di Calderoli potrebbe tramutarsi in un «passo falso» che rafforza la capacità di Fini di farsi garante istituzionale per un cammino ancora agli inizi. Tanto è vero che ieri, a Montecitorio, i finiani ironizzavano semmai sulla nuova «Lorenzago» calderoliana (una bozza di riforma tramutatasi in legge, ma poi bocciata dagli italiani in un referendum che aprì la via alla vittoria di Prodi nel 2006). Mai affrettarsi, dice il saggio. E i canali ufficiali del numero uno di Montecitorio sottolineano quanto la bozza portata ad Arcore l’altra sera, al di là di tutte le perplessità di galateo, sia persino «un buon punto di partenza».
Altro esempio di questa silenziosa volontà (forse voluttà?) di «farsi giunco» per tagliare i ponti al «nemico» dopo il suo passaggio (Sun Tzu), sta nell’ufficioso «apprezzamento» di quanto dichiarato dal ministro Maroni sul semipresidenzialismo alla francese, al netto - naturalmente - di «tutte le scempiaggini sul ruolo centrale della Lega nelle riforme eccetera». L’avamposto finiano, sostengono i suoi, garantisce una rendita di posizione: vada come vada, per forza di cose sarà quello il crocevia essenziale. Il sergente di ferro, Italo Bocchino, ha definito il ruolo di Fini come quello di «pivot», tradendo - probabilmente per la non eccelsa statura - una cattiva conoscenza del basket. In realtà, lo schema del presidente della Camera lo vede piuttosto come «guardia», a stretto contatto con il «playmaker» (il regista). Ovvero, come ha spiegato lui stesso più volte, «occorre evitare riforme a maggioranza che poi si traducano in pericolosi referendum: già una volta ci siamo scottati...». Meglio dunque difendere il percorso delle riforme mediando con l’opposizione, in stretto contatto con il Quirinale, così da dimostrare «che il Pdl tenta la strada della condivisione». Almeno per ora, visto che Fini non vuole ancora sbilanciarsi troppo, e chiarisce che «a un governo non si può impedire di fare le riforme, se fallisce qualsiasi tentativo di coinvolgimento della minoranza».
In questo quadro l’impazienza leghista, pur sgradita al presidente della Camera, «non è un male che vien per nuocere». Proprio oggi la Fondazione Farefuturo, sempre al centro delle cronache politiche per eccessi di entusiasmo (un eufemismo), presenta tempestivamente un convegno sulla «Quinta Repubblica francese, un modello per l’Italia?». Incontro previsto da almeno un paio di mesi, ma probabilmente «rafforzato» nell’ultima fase. Di sicuro, il parallelo con quel modello semipresidenziale pare tirare acqua al mulino, visto che fu proprio quella riforma a consolidare il bipolarismo Oltralpe, facendo nascere un sistema che dà poco peso al Parlamento rispetto al presidente eletto dal popolo, garantisce un governo abbastanza stabile, nonché un corretto meccanismo d’alternanza tra centrodestra e socialisti, nel quale le «terze forze» vengono spesso penalizzate nonostante i buoni risultati (vedi lo scarso peso e l’isolamento politico di Le Pen). «Fossi della Lega, drizzerei le orecchie», sottolinea sornione un deputato finiano.
Fare buon viso a cattivo gioco, sembra la parola d’ordine dei fedelissimi. Sicuri che più che un fantomatico asse Fini-Tremonti (colui che dovrebbe allargare i cordoni della borsa per sopportare i costi del federalismo fiscale), sarà il Carroccio a deragliare. Così da riportare «naturalmente» Berlusconi a poter rinnovare il rapporto con il co-fondatore del Pdl.

A partire da quell’incontro tra i due che «non è mai saltato perché un appuntamento non c’è mai stato», dicono nell’entourage finiano. Mentre il presidente di Montecitorio non lo vedrebbe «per nulla urgente», visto che i «contatti ci sono» e «ci si sente in continuazione».

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