Finisce l’era dei "nazionalpopolari", i talentuosi convincono

Si cambia musica. D’Angelo: il brano del principe è un vero schifo. Pupo: il suo invece non è male. Cutugno: loro litigano, io schiero Belen

Finisce l’era dei "nazionalpopolari", i talentuosi convincono

Sanremo - In fondo è un segno dei tempi mica da ridere: al primo colpo - leggi prima serata - i cantanti nazionalpopolari sono stati spazzati via dal Festival di Sanremo. Dopo più di mezzo secolo di dominio pressoché ininterrotto. Dicevi Sanremo e dicevi nazionalpopolare. Invece Toto Cutugno fuori. Nino D’Angelo pure. Il trio Pupo, Filiberto e Canonici randellato senza pietà. C’è il ripescaggio, per carità, e stasera vedremo.

Ciò che non sarà ripescato è il cambiamento di clima, comunque vada. Pure per gli scommettitori, i ragazzi venuti fuori dai talent show sono in testa ai pronostici: Marco Mengoni su tutti, poi anche Valerio Scanu e Noemi. E il fatto che il loro arrivo al Festival abbia contribuito ad abbassare l’età media dei telespettatori è un segnale che persino la tradizionalista Rai non potrà trascurare. La musica, specialmente se è nuova, porta nuovi telespettatori. E i nuovi telespettatori sono più giovani, sono quelli che hanno la repulsione per il tubo catodico e sono cresciuti con YouTube.

Però intanto gli esclusi beccano. E si beccano.

Nino D’Angelo, insolitamente agguerrito, ha detto che la canzone di Pupo è «’na chiavica», che sostanzialmente significa una fogna. Lui, Pupo, ha risposto che invece il brano di D'Angelo gli piace. Il principe - assai bon vivant - ha detto che non l’ha ascoltato. Toto Cutugno è entrato nella questione sghignazzando: «Tra i due litiganti, io stasera schiero Belen Rodriguez». Lei sarà sul palco sperando nel ripescaggio di lui: una coppia inedita, un duetto che comunque sarà una sorpresa. Boh. Vedremo. Nello scontro tra gli esclusi, si disegna comunque uno scenario che dà la misura di quanto i tempi siano cambiati. Non c’è solo l’assalto generalizzato della nuova musica, quella prodotta dai talent show come Amici e X Factor, ormai una realtà che neanche il critico musicale più peloso e incattivito può far finta di trascurare.

C’è pure il dialetto. D’accordo, l’unico che quest’anno abbia cantato in dialetto è stato, come al solito, Nino D'Angelo. Ed è stato cacciato subito. Ma la frontiera è aperta e non si torna più indietro. E lo dimostra la voracità della polemica politica. Il ministro delle Politiche Agricole, Luca Zaia, ha detto: «Auspico che a Sanremo ci sia una par condicio dei dialetti e che non accada più come quest’anno, quando è stato privilegiato il napoletano con la canzone di Nino D’Angelo».
Come al solito esagerando, il responsabile comunicazione dei Giovani Democratici ha subito replicato: «Il ministro Luca Zaia ha perso il lume della ragione. La prossima volta a Sanremo aspettiamo più cantanti padani sul palco». Ma la strada è aperta. E il vicedirettore generale della Rai, Antonio Marano, ha infatti confermato che «proprio a Sanremo si sta organizzando un festival di canzoni dialettali».

E le commissioni sono già al lavoro. Insomma, non si torna indietro e poi perché: la canzone popolare è sempre stata dialettale, anche quando nessuno lo voleva riconoscere perché il dialetto, si sa, è troppo nazionalpopolare per piacere alla critica.

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