Forza Italia, laicità e più concretezza

M a davvero il problema di Forza Italia sta oggi nella sua organizzazione interna, nella sua leadership, nei meccanismi di successione? Io vedo le cose in modo diverso. I lettori mi perdoneranno se ricorro a una metafora. Immaginiamo Berlusconi come il factotum di un’opera in tre atti di cui fino ad ora sono state prodotte soltanto i primi due. Manca il terzo, quello decisivo, ma la trama è a buon punto. Atto primo: Berlusconi entra in scena e trova il palcoscenico nudo, senza attori e senza scenografia. Sono tutti altrove: i grandi protagonisti del passato si sono appena ritirati dalla scena, i migliori fra i superstiti, o almeno i più famosi, sono stati scritturati dall’impresario rivale. Traduco: siamo in piena stagione di tangentopoli, il pool dei magistrati di «mani pulite» ha liquidato tutti i partiti di governo, un referendum ha travolto il sistema proporzionale, è nato il bipolarismo. Ma esiste solo un polo, quello di centrosinistra, guidato (allora come oggi) dai post-comunisti. Berlusconi fonda Forza Italia e la porta nel giro di poche settimane e di molti sondaggi a conquistare la simpatia di quasi un terzo dell’elettorato.
Atto secondo. Berlusconi si guarda intorno e cosa trova? Un partito solido ma poco attraente, il Msi di Gianfranco Fini, erede della mitologia fascista e del conservatorismo postfascista, chiuso nel ghetto dei suoi confini politici, da una parte; un partito ribelle, intriso di buone intenzioni federaliste e di cattive letture secessioniste, chiuso nel ghetto dei suoi confini geografici, dall’altra. Berlusconi scrittura tutti quanti, strappa al loro destino di insignificanza alcuni pochi superstiti dell’armata democristiana in rotta, stringe un patto con i radicali di Marco Pannella. In questo modo crea una strana alleanza e, incredibile a dirsi, vince le elezioni. È il 1994, il sistema bipolare non è più monco, c’è un centrosinistra ma anche, inaspettatamente, un centrodestra.
Da allora sono passati 12 anni, difficili e controversi. Forza Italia ha acquisito e consolidato i connotati di un partito moderato nei valori, liberale ma piuttosto conservatore in economia, euroatlantico in politica estera, aperto alla modernità ma troppo pressato da alleati e lobbies; e, fattore critico, le sue fortune restano legate a doppio filo a quelle di Berlusconi. Alleanza Nazionale ha prodotto un leader di prestigio come Gianfranco Fini ma sembra aver interrotto la sua evoluzione, tanto da essere considerata da molti una zavorra per il suo leader. La Lega ha maturato una scelta democratica ma non ha acquisito una dimensione nazionale; la parte democristiana scalpita; i radicali di Pannella stanno col centrosinistra; i liberali radicali che hanno scelto il centrodestra sono vissuti da molti come un corpo estraneo e rischiano la scomparsa nonostante si rivolgano ad un elettorato laico e individualista diffidente verso la Cdl.
Atto Terzo. Cosa resta da fare e chi lo può fare? Alcuni nomi servono come pietre miliari: Thatcher, Reagan, Aznar, Merkel. Gli uomini e le donne (ah vedi!) che hanno cambiato la destra occidentale, trasformandola definitivamente in moderni partiti delle opportunità, della difesa delle libertà individuali contro le concezioni collettivistiche di qualsiasi tipo, della laicità politica irrobustita dalla tradizione religiosa, della giustizia intesa come riconoscimento del merito e non redistribuzione di diritti, di uno stato sociale rivolto non alla proliferazione della burocrazia ma al servizio dei cittadini. Partiti che di fronte alla sfida del terrorismo islamico non scendono a patti ma si attivano per disseminare radici di libertà, di democrazia e di mercato.
A che punto è il centrodestra su questa strada? Le valutazioni possono divergere, ma non c’è dubbio che il percorso non è compiuto, e che una strada diversa non porta lontano. Chi può guidare questa fase decisiva? Si accettano candidature. Dubito che ci possa riuscire altri da chi dei due atti precedenti è stato autore, regista e protagonista. Certo non sarà facile. Ma oggi la costruzione di un centrodestra moderno, europeo, americano, riformatore e liberale oltre che permetrato dalla tradizione cristiana, è possibile. A Berlusconi spetta il compito già realizzato dai grandi leaders conservatori di far comprendere che la laicità è il segno non della contrapposizione ma della convivenza fra i valori liberali e quelli tradizionali (che, ad esempio, le unioni civili omosessuali, o la ricerca sugli embrioni destinati al macero, o la depenalizzazione del consumo di droghe non sono in contrasto con la cultura liberale, anzi), che le corporazioni sono in quanto tali ostili al mercato e al merito e quindi avversarie di fatto del centrodestra, che la globalizzazione dei mercati crea più occasioni di quante ne distrugge. Eccetera. Berlusconi ha la credibilità per portare a conclusione la sua opera.

Ne avrà anche la forza? Si riorganizzi allora Forza Italia e tutto il centrodestra intorno a una concreta teoria degli obiettivi e non a un’astratta ideologia del perfetto partito liberaldemocratico sfidando apertamente l’egemonia culturale della sinistra e l’establishment economico ad essa legato. La partita è apertissima, noi Riformatori liberali siamo pronti a giocarla assieme a Berlusconi e al centrodestra.

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