Fuori dal carcere birre e risate: «Ora ho la pancetta da galeotto»

I giovani accolti da parenti e amici. C’è chi chiede subito una sigaretta, chi si sente «spaesato» e chi fa polemica: arrestati perché antifascisti

«Una sigaretta, per favore». La prima, fuori da San Vittore. Nicola, dopo oltre quattro mesi di carcere, si fuma la prima bionda oltre le mura della casa circondariale. Ora è agli arresti domiciliari. Qualche tiro. «È finita, va tutto bene». Abbraccia i genitori e gli amici. «Ora mi farò i domiciliari. È finita. Adesso ho dieci ore per presentarmi in Questura altrimenti mi riportano qua». Ride con la madre. Lei ci prova. Ride meno di lui, ma oggi è comunque meglio di ieri.
Mancano pochi minuti alle 16. Gli imputati del processo per gli scontri dell’11 marzo escono dal carcere. Prima gli uomini, poi le donne. Nove di loro sono liberi. Altri diciotto resteranno ai domiciliari. «Tutti liberi!», gridano quelli che li aspettano. Sono un centinaio. Nell’attesa, fanno circolare un volantino. «Ancora una volta la giustizia perde l’occasione per restituire alle famiglie, ai compagni, a noi tutti, la verità sui fatti dell'11 marzo», si legge. Ancora, parlano di «pressioni e strumentalizzazioni politiche», di «linciaggio mediatico», di «un clima volto a giustificare 4 mesi di assurda carcerazione preventiva». Ribadiscono «l’ingiustizia di questo processo» e promettono che «continueremo a sostenere i ragazzi». «La sentenza che oggi condanna gli antifascisti - concludono - è coerente con l’accanimento che ha caratterizzato l’intera vicenda giudiziaria». Ma la vicenda giudiziaria non finisce oggi. «Andiamo avanti, facciamo ricorso».
Però ora escono. Quattro ore dopo il previsto, ma non è il momento di sottilizzare. «Abbiamo aspettato quattro mesi, ora possiamo aspettare altre quattro ore». E c’è spazio per la festa, innanzitutto. Si abbracciano i genitori, qualcuno degli amici offre una birra. Poi, il tempo delle polemiche ricomincia. «Siamo stati arrestati e condannati perché siamo antifascisti». Non ha dubbi, Fabio. «Ci hanno messo nella sezione ex massima sicurezza. In carcere non si poteva fare niente. Contavamo le ore». E com’è, fuori? «Mi sento spaesato».
Qualcuno riesce anche a scherzare. «Ho messo su la pancia del carcerato». Gli amici aspettavano Lorenzo, là fuori. Lui, nel carcere di Bollate, è rimasto quattro mesi. Ma «l’unica cosa importante è che una piccola parte di questo schifo si sia interrotta. Ora bisogna andare fino in fondo, perché abbiamo compagni ai domiciliari, isolati dal mondo. È intollerabile, bisogna tirarli fuori». «A Bollate - racconta prima di andare via - stavo in galera. Preferisco non dire altro. Non è la prima volta che delle persone vengono costrette senza prove a detenzioni preventive non concepibili».
Per Daniele, uno dei nove assolti, quella pronunciata dal giudice «è una sentenza che ci ha lasciato sconcertati.

Un provvedimento che ha poco a che vedere con il diritto. Non riesco a capire come si riesca a provare il reato di devastazione». Tanti ricordi, di questi mesi. Uno, il peggiore. «Essere incarcerato ingiustamente. E non essere il solo».

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