Furio Colombo, il piccolo maestro che aizza il popolo viola

Il giornalista lancia su "MicroMega" una chiamata alle armi: "Uno-cento-mille No B Day contro questo governo semi-fascista"

La prima regola del viola: i padroni sono sempre quelli degli altri. Furio Colombo per contratto è un giornalista libero e, probabilmente, questo è scritto da qualche parte anche nella sua busta paga. Se qualcuno ricorda i suoi anni americani la risposta arriva sempre senza sbavature, neppure un attimo di rossore: «Quando lavoravo per la Stampa a New York divenne abbastanza naturale che mi occupassi anche di relazioni esterne della Fiat, per poi diventarne amministratore delegato e poi presidente della Fiat Usa». Il segreto in fondo è tutto qui: naturalezza. Furio Colombo ha attraversato la vita sapendo bene chi sta nel marcio e chi passeggia sulle nuvole. È semplice. Se c’è rischio di sporcarsi le mani, ricorda di mettere i guanti. È così che si possono dare lezioni di «resistenza morale» al mondo. È quello che Colombo fa tutti i giorni sul Fatto e una volta al mese su Micromega.
Come si diventa profeti della piazza viola? Serve un curriculum. Furio Colombo da adolescente faceva le poste sotto casa a Pavese, si scambiava poesie con Sanguineti, andava a spasso con Vattimo e raccoglieva gatti randagi con Eco per conto di Mike Bongiorno. «È il primo incarico che ho avuto in Rai». Furio Colombo ha fondato con i suoi amici avanguardisti il Gruppo 63. E poi ha chiesto a Gianni De Michelis un posto da direttore dell’Istituto di cultura negli States. Quando si citano i diritti umani, Colombo ti fa capire che ha condiviso il cibo con Martin Luther King. Se parli di classe operaia lui cita Olivetti. «Mi diceva: voglio che lei conosca il buio del lunedì. Il buio, il peso, la tristezza dell’operaio che arriva il lunedì mattina in fabbrica alle 6 e mezza». È così che saltando tutti i lunedì e pranzando spesso con Gianni Agnelli ha trovato uno stipendio all’Unità. Fino a quando D’Alema o Veltroni, o tutti e due, non l’hanno fatto fuori. Fino all’ultima illuminazione. Una piazza in fondo è solo un salotto un po’ più grosso. Bingo. Furio Colombo è un genio.
Questo distinto senatore dalla capigliatura bianca è uno dei più ascoltati maestri del popolo viola, quello che ha rispolverato i girotondi e improvvisato i «No B Day». Colombo in questi giorni offre a poco prezzo le istruzioni per l’uso della piazza. È il rifugio di tutti quelli delusi da Di Pietro, che non si fidano più dei tentennamenti di De Magistris, la massa giacobina che vede nei giudici gli ultimi sacerdoti di una religione senza più Dio e invoca come sacrificio di salvezza la deposizione di Silvio Berlusconi, origine di tutti i mali dell’Italia putrefatta, maleodorante e, per uno strano capriccio della storia, vincente.
Sostiene Colombo che quasi non c’è più speranza. Il berlusconismo sta vincendo e solo una minoranza del paese, una confraternita di giusti e illuminati, può ancora fare qualcosa. Non ci sono molte speranze, ma provarci è un dovere morale. È la resistenza a un regime di cafoni. Ma non è così semplice. I viola devono prima convincersi di vivere in una sorta di ucronia. Berlusconi è un Mussolini o qualcosa di simile. È la dittatura del brutto, dello squallido, del perverso sul popolo della bellezza e della virtù. È una dittatura moderna, perché non usa il manganello, l’olio di ricino o il confino, ma il veleno televisivo di Uomini e Donne e Pomeriggio Cinque. In questo senso la De Filippi o Barbara D’Urso sono agenti della polizia politica.
Che fare, allora? Bisogna considerare l’Italia come una prigione e mostrare la tempra morale di Gramsci, Gobetti, dei fratelli Rosselli, di Eugenio Colorni. I viola devono indossare i vestiti dei veri martiri delle dittature e far finta di essere come loro. Non importa se Gramsci e gli altri sono morti davvero. Non importa se hanno visto il carcere e la morte, le botte e il volto nero del fascismo, quello vero. Il segreto è interpretare la parte. Se continui a dire che sei un perseguitato politico magari qualcuno ci crede. Ecco il trucco. «Dunque io dirò che i “No B Day” vanno fatti, ripetuti, moltiplicati». Come un tempo: uno, cento, mille Vietnam. Qualcosa di evangelico, tipo in principio era il verbo. Parole, parole, parole. Raccontare, narrare, diffamare. Riscrivere il presente, il passato, il futuro. Se tutti in rete e nelle piazze si mettono a gridare che l’uomo non è mai stato sulla luna la conspiration moon non è più una leggenda ma verità.
Scrive Furio Colombo sul numero monografico di Micromega dedicato al popolo viola: «Ogni formula, ogni occasione, ogni autoconvocazione grande e piccola è la strada giusta, anche perché è l’unica strada. Serve a rifornire i passanti, in un periodo semifascista della vita italiana, di notizie, testimonianze, voci libere e denunce. Roberto Saviano e Andrea Camilleri segnano questo percorso, allo stesso tempo disperato ed essenziale: la sola possibile resistenza». La piazza diventa agorà e si sposta in teatro. «I teatranti sono più astuti dei politici, si impossessano della piazza, la portano in scena e fanno in modo che il senso della storia si veda». La piazza come antidoto contro la televisione. Questo è il teorema di Colombo. L’importante è vendere una leggenda.
Il vantaggio è che per fare tutto questo non bisogna essere in tanti.

Tanto - come scrive - la maggioranza in Parlamento è solo il braccio armato del governo. In tal modo il sistema democratico è largamente abusato e violato. Capito il gioco? Se in Parlamento vince Berlusconi, la democrazia è quella dei professionisti della piazza. La democrazia della minoranza.

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