"Il Garante doveva parlare prima"

Pisapia: se Pizzetti fosse stato più tempestivo avrebbe evitato l’accusa di aver difeso un politico. L'ex deputato del Prc presiede la Commissione di riforma del codice penale. La politica ci dà ragione: errore imbavagliare la stampa

"Il Garante doveva parlare prima"

Milano - Si rammarica: «Peccato, il Garante avrebbe dovuto agire prima, anche solo due-tre giorni prima. Certo, sarebbe stato bersagliato dalle critiche, ma avrebbe evitato l’accusa più grave: quella di aver agito perché nell’inchiesta di Potenza era finito un politico. E questa purtroppo, al di là della buona fede del Garante, è la percezione di gran parte dell’opinione pubblica».
Giuliano Pisapia riflette sull’ultimo cortocircuito fra il Palazzo e la giustizia. Pisapia, penalista ed ex deputato di Rifondazione, è oggi il presidente della Commissione di riforma del codice penale. E da tecnico, chiamato a ridisegnare un vestito pieno di toppe e rammendi, mette le mani avanti: «Diciamolo subito. Oggi il posto assegnato al Garante della privacy è all’interno del perimetro della norma penale. E questo è sbagliato, sbagliatissimo».
Perché?
«Perché non si può maneggiare un argomento così delicato a colpi di manette, arresti, processi e condanne. Ci vogliono sanzioni pecuniarie che colpiscano i giornali e le loro proprietà».
Per ora siamo al diktat del Garante Franco Pizzetti: chi sgarra verrà denunciato alla magistratura. Sbaglia?
«Ma no, il Garante fa il suo mestiere, è la legge istitutiva del Garante che va ripensata».
Il Garante si è mosso solo dopo l’esplosione del caso Sircana. Non è stato intempestivo?
«Io credo che abbia agito in perfetta buona fede e non abbia calcolato l’impatto del suo provvedimento sull’opinione pubblica».
Ovvero?
«La percezione, al di là della motivazione sacrosanta, è negativa: ci si muove perché è in gioco il destino di un politico».
In effetti in questi mesi i giornali hanno scandagliato le vite private di attrici, calciatori, personaggi vari. Per loro non dovrebbero valere le stesse regole?
«Certo. La privacy è un valore che non può essere intermittente. Tutti, ma proprio tutti i cittadini devono essere tutelati. Lo stesso metro di misura dev’essere applicato a Sircana, alla figlia di Berlusconi, alla velina».
Per la verità a giugno, il Garante aveva lanciato un invito ai media alla moderazione. Non è stato ascoltato?
«Apprezzo la gradualità, ma tutta la tempistica e le modalità degli interventi devono essere ripensate. Così sembra che sia passato un provvedimento bavaglio che colpisce la libertà di stampa. In ogni caso, dopo dieci e passa anni di discussioni che non hanno portato a nulla, questa potrebbe essere la volta buona».
Per fissare finalmente paletti invalicabili?
«Certo».
La commissione che lei presiede formulerà una sua proposta?
«Dividiamo il problema in due: le intercettazioni e la tutela della privacy».
La privacy?
«Stia fuori dal codice penale. Stia nelle mani di un’autorità forte e indipendente».
L’identikit del Garante?
«Non può essere un giornalista. E dev’essere in grado di colpire con sanzioni efficaci. In linea generale si pubblicano notizie pruriginose non per informare ma per vendere di più. E allora si pensi a multe adeguate che rendano antieconomico il gioco al massacro sulla pelle delle persone».
Le intercettazioni?
«Il disegno di legge del ministro Mastella è all’esame del Parlamento. Aspettiamo e vediamo: se non arriverà una norma, faremo la nostra proposta. Così non si può andare avanti».
Così come a Potenza?
«Ho letto sui giornali che sono state piazzate le cimici anche su un aereo di linea. È incredibile. Il codice dice che le intercettazioni si fanno solo se assolutamente indispensabili. Capisce? L’aggettivo e l’avverbio formano un doppio sbarramento, un doppio catenaccio».
Invece?
«Nella realtà è tutto un altro andazzo, peraltro autorevolmente avallato da alcune decisioni della Cassazione: vengono autorizzate anche intercettazioni alla cieca, non sufficientemente motivate».


Esplorative?
«Esatto. Tanto si sa che qualcosa salta sempre fuori. E poi è chiaro che se si spia un Paese intero, i giornali fanno il loro mestiere e raccontano. Ma non si può continuare a guardare l’Italia dal buco della serratura».

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