Dal Garda alla Puglia l'olio (quello buono) è il re dei condimenti

A Milano la rassegna di Officina Festival. Perché sulle nostre tavole è ancora così poco conosciuto...

Dal Garda alla Puglia l'olio (quello buono) è il re dei condimenti

Se il vino italiano naviga con il vento in poppa, non altrettanto si può dire dell'olio tricolore. Un vero peccato considerando che spesso è buono (talvolta buonissimo), quasi sempre fatto in modo serio e apprezzato in tutto il mondo, Stati Uniti e Germania in testa.

Lasciando da parte la retorica del made in Italy a tutti i costi il nostro Paese è da sempre l'assemblatore numero 1: compriamo olio da altri, Spagna in testa, e facciamo dei capolavori di blend c'è il continuo saliscendi della produzione interna, dovuto alla mancata allegagione (la fase iniziale dello sviluppo dei frutti dopo la fioritura) e alla mosca olearia. Per il Sud in particolare, le ultime stagioni sono state un dramma. Ma ancora peggio, è la cultura ancora approssimativa di gran parte dei consumatori che si accontentano di «un olio» quando avrebbero un ventaglio di offerta, sempre più vicino a quello del vino. Certo, bisogna saperlo scegliere meglio e voler spendere qualche euro in più: ma il gioco vale la candela.

C'è bisogno di una scossa positiva ed ecco perché ci è piaciuto molto il tema portante della sesta edizione di Olio Officina Festival, «Energia. Olio in movimento». Si tratta della più vivace kermesse dedicata al prodotto, che si è aperta ieri al Palazzo delle Stelline di Milano per chiudersi domani. (www.olioofficina.com).

L'anima della rassegna è Luigi Caricato oleologo e considerato tra gli ideatori della nouvelle vague dell'olio italiano, nonché promotore del progetto dell'olio «democratico» che spiega così il tema. «L'olio oltre a essere alimento e condimento, è anche, e soprattutto, energia, in quanto fonte di calorie in grado di dare una spinta propulsiva e dinamica all'organismo». La validità di Olio Officina Festival risiede nell'offrire ovviamente spazio al marketing di tante aziende nazionali e dei principali consorzi con iniziative, nuovi prodotti, degustazioni ma al tempo stesso di fare realmente cultura, senza spocchia. Quindi nelle sei sale delle Stelline si passa dagli immancabili laboratori sul prodotto alla mostra di contenitori d'olio, dalle lezioni di yoga oliocentrico ai focus economici e scientifici o ancora agli approfondimenti storici come quello sugli oliveti del Vittoriale dannunziano, in zona vocata come è il Garda. Il rischio noia non si corre, mentre il rischio di non fare il salto di qualità da parte dei consumatori sussiste, soprattutto in un momento poco brillante come questo.

In realtà, nel titanico scontro sulla carta tra la cucina dell'olio e la cucina del burro, è stata la prima a prendere il sopravvento anche sulle tavole del Nord: vuoi per una maggiore attenzione alimentare vuoi perché tanti cuochi del Sud sono diventati protagonisti proprio spostandosi di latitudine. E nell'era dello chef mediatico, questo ha avuto un peso: citiamo la passione dichiarata di Cannavacciuolo («Per me l'olio è uno dei pochi ingredienti totali: quello ideale ti accompagna in ogni fase della preparazione di un piatto, dalla cottura alla finitura» ripete) o il concetto di Niko Romito di creare una pagnotta in stile monacale (divisa in quattro pezzi identici) per assaggiarla insieme a un grande olio. Gesto culinario ma anche di grande significato antropologico. Come era impensabile sino a pochi anni che nascesse una «via meridionale» al panettone dove l'olio si prende lo spazio del burro: il capofila di questa visione è il molisano Vincenzo Tiri che ha studiato per due anni prima di trovare la soluzione perfetta. Sdoganato anche nei dolci, mai così fondamentale per la cucina italiana in genere, per l'olio si apre obiettivamente una nuova frontiera che deve essere basata sulla qualità, ma in modo lucido e senza mai dimenticare che quello prodotto in Italia sarà il migliore del mondo ma è realizzato spesso con olive che arrivano dall'estero e le nostre (ottime) DOP coprono il tre per cento del mercato.

Quindi se da un lato, bisogna essere orgogliosi delle centinaia di cultivar e dei sofisticati prodotti degli artigiani (che a parte Valle d'Aosta e Alto Adige sono presenti in ogni regione), la vera sfida è far capire al pubblico il corretto rapporto prezzo-qualità e il piacere che può derivare dall'abbinamento giusto con il piatto. In fondo, non è passata una vita da quando in locali anche di buon livello, ci si sentiva chiedere drammaticamente «vino rosso o bianco?» di fronte a qualunque logica scelta per il menu. Possiamo e dobbiamo migliorare anche sull'olio, partendo dalla conoscenza.

Ecco perché ci piace chiudere l'articolo con la riflessione di uno dei maestri della cucina italiana quale Gennarino Esposito, che ha persino inventato piatti partendo dall'olio e scegliendo solo successivamente gli ingredienti. «Noi cuochi possiamo far cultura, organizzarci per spiegare ai clienti il perché e il percome.

Ma i numeri veri si fanno nelle case, nelle scuole, nelle mense. È lì che bisogna iniziare il percorso educativo, evitando che i nostri figli mangino oli scadenti, di qualcosa che assomiglia all'olio e che non è sano per la salute» Tutto qui.

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