Pier Luigi Bersani ce l’ha proprio sulla punta della lingua. «Oui, je suis Francois Hollande», dirà. Ispirato come Kennedy dell’ ich bin Berliner , ammiccante come la Deneuve della pubblicità. Il problema piuttosto sarà indossare quel sorriso un po’ nordico, un mezzo sorriso si direbbe, la montatura degli occhiali demodé ( lui che ha soltanto lunette da presbite), la pancetta tonda da travet che fuoriesce dalla cintola. Ottima forchetta, Pier Luigi confida di metterla su in un paio di sedute intensive di culatello. Alla grande. Anzi, alla grandeur . Non così Nichi, ormai potremmo chiamarlo pure Vendolà , immemore di genealogia politica, che ancora s’attarda in sala trucco per l’identificazione in monsieur le President . Come fare quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi mariti e padri noiosi? Trasgressione adieu , la nouvelle vague impone austerità, uomini della porta accanto. Le Alpi son sparite, dal Manzanarre al Reno svanita per sempre la distinzione tra socialisti e comunisti. La sinistra dell’al di qua, in astinenza, s’è hollandizzata in poco più d’un ballottaggio.Tutti per uno,uno per tutti.Moschettieri per l’allievo di Delors,Jospin e Mitterrand. Se persino Oliviero Diliberto inneggia al «vento nuovo»che s’oppone al «massacro sociale» praticato dai banchieri, significa che la situazione è grave, che la révolution ribussa alle porte, come nella Repubblica cisalpina siamo in attesa di Napoleòn , il conquistatore, il messia, l’eroe cui dedicare bandiere, sezioni, speranze e sol dell’avvenire.
Non è il primo, ed è anche il più atipico, se vogliamo, Monsieur Hollande. Difficile prenderlo per il «piccolo padre» cui un commosso Togliatti rivolgeva questo commiato alla Camera, il 7 marzo del ’53: «Difficile è per me parlare oggi di Stalin, l’animo è oppresso dall’angoscia per la scomparsa dell’uomo più che tutti gli altri venerato e amato,del maestro, del compagno, dell’amico: Giuseppe Stalin, un gigante del pensiero e dell’azione,con il suo nome verrà chiamato un secolo intero». Questo solo per dire che il vizio è antico, anche se diversi e più prestigiosi erano i ruoli degli epigoni militanti d’ogni Internazionale: comunista, socialista, trotzskista. Epperò l’italiano di sinistra talora per modestia, talora per pochezza, talaltra per pigrizia, fuori dai confini guarda per sognare, imitare, ottenere (un tempo il Reame, oggi tempora o mores , una poltrona traballante).
Siamo rimasti quelli di Franza o Spagna purché se magna , se è vero che l’ultimo a sciogliere il sangue fu lo spagnolo Josè Rodriguez Zapatero, detto Bambi per lo sguardo tenero, inventore del «socialismo dei cittadini », prematuramente capitolato sotto i primi colpi della crisi. Sepolto in tre giorni, proprio lui che aveva incendiato la sinistra radicale ma vantava migliaia di tentativi d’imitazione anche tra le fila del Pd.E prima dello Zapata ( nomignolo ulteriormente caro), eccoci di nuovo al francese burocratico Lionel Jospin, una cima nel suo genere oltre che precursore dell’Hollande,che veniva in Italia a far da paciere tra le truppe sempre nemiche del Pci-Pds e dei post-Psi. L’ultimo seguace di Lionel fu Cesare Salvi, tetragono alle mode, dopo gli abbandoni in massa accusati per le disastrose campagne jospiniane in Francia.
Ma i cuori, veltroniani prodiani e infine persino dalemiani, furono di lume accesi assai più a lungo-dall’ Angleterra .L’esistenza di una «terza via» fu ritenuta tra le scoperte più importanti per il mondo moderno, dopo quella della relatività assoluta di Einstein, grazie al contributo del mite sociologo Antony Giddens. Lui teorizzò, Bill Clinton incassò Oltreoceano, Tony Blair s’incaricò di diffonderla tra i popoli. In prima fila, inutile dirlo, gli italiani: Uòlter Veltroni e Romano Prodi, che volevano concederle il tocco in più: chiamarla Ulivo mondiale (l’idea era di Romano, non a caso non di sinistra). Si scoprì tutti che era un’ovvietà,ma soprattutto la bufala che portava la sinistra a cercarla verso Atlantide ma a sprofondare in Irak. Ora se ne riemerge, e senza scomodare febbri passeggere (la Chavez, la Morales), il dottore della storia ha stabilito che basta restare un po’ sottotono. Un presidente «normale », vent’anni dopo D’Alema. Solo che è in Francia, ennesimo papa straniero. E noi si gioca all’ hollandese ,sempre attenti al fuorigioco.
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