Una ghiotta polemica sulla prima pagina dellUnità nei giorni scorsi ha svelato il nuovo probabile terreno di scontro tra la sinistra riformista alla Walter Veltroni e quella massimalista di verdi e post comunisti: i fannulloni si possono licenziare sempre, mai, o solo se sono dipendenti privati e non statali?
La questione, a sinistra, è assai spinosa soprattutto perché a porla è stato Pietro Ichino. Non un «bieco reazionario servo dei padroni», bensì un uomo nato a sinistra, cresciuto nella Cgil e maturato nei milieu trasversali che hanno prodotto le migliori intelligenze del riformismo del lavoro, da Ezio Tarantelli a Massimo DAntona fino a Marco Biagi.
Furio Colombo invece, intellettualmente e soavemente transitato dalle ovattate sale dei vertici Fiat alle rumorose catene di montaggio delloperaismo duro e puro, tuonando giustamente contro Vallettopoli e i suoi eroi da strapazzo, ha additato sfrontate veline, ambigui impresari e fotografi tatuati e smutandati come i veri fannulloni da licenziare.
Le polemiche sono il sale della politica e nei mesi estivi anche dei giornali. Ma abbiamo la sensazione che questa sia una questione tuttaltro che effimera, perché centra il tema della produttività del lavoro, della meritocrazia, della parità di trattamento dei lavoratori dipendenti dallo Stato e dalle aziende private; in una parola di tutto ciò che, se manca, - e manca - determina il declino delleconomia.
Dieci anni fa nel dibattito politico ed economico del Paese tirava unaria assai simile a quella di oggi. Leconomia usciva dalla crudele ma efficace cura del cambio forte dellallora Ciampi governatore di Bankitalia, che costrinse le aziende italiane esportatrici a ristrutturarsi, pena la perdita dei mercati esteri. Con la costosissima svalutazione del 1992 il cambio cedette drammaticamente, ma limpresa ne uscì più forte. La caduta delloccupazione che ne seguì venne interpretata non come reazione alle rigidità del mercato del lavoro, bensì come lincapacità del capitalismo post industriale. Quella cultura allora partorì la suggestione della settimana di 35 ore. Lo slogan ebbe successo, la proposta no. Da allora ad oggi sono stati creati 1,8 milioni di posti di lavoro, la disoccupazione è scesa ai minimi del decennio ma la produttività è crollata di 7 punti.
Oggi il Paese si trova di fronte a unaltra grande sfida. Non si tratta di dividere il lavoro ma di moltiplicare la crescita delleconomia con un guizzo geniale dellintelligenza e il tenace realismo della buona politica. Ventanni Ezio Tarantelli inventò il tasso di inflazione programmata e, per quella via, sconfisse linflazione e preparò la politica dei redditi. Poi intervennero le leggi Treu e Biagi sul mercato del lavoro che furono la buona politica. Oggi si tratta di riconoscere il diritto di chi lavora a essere premiato e guadagnare di più e di chi si sfila o si nasconde di vedersi invece penalizzato, anche con il licenziamento.
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