(...) nella vita e nella poetica del più grande intellettuale italiano raccontata senza faziosità da Andrea Scanzi. Uno spettacolo sorprendente, che rende onore al fiuto di Carlo Repetti che l'ha scelto per la stagione dello Stabile e che ha fatto il pieno in entrambe le repliche, sommando i fan televisivi di Scanzi, ma soprattutto quelli storici di Gaber.
Terzo fermo immagine, anche stavolta doppio. Platea (e galleria, ça va sans dire) strapiena per assistere a un altro splendido Gaber, quello di Luca e Paolo. Nel senso che Gaber è sempre splendido, ma che sono stati davvero bravi anche loro. E, per una sera, anzi due, anche Luca e Paolo hanno smentito il nemo propheta in patria, catturando i loro concittadini genovesi, per la gioia del pubblico, ma anche per quella di Savina Scerni. Mica finita: nemmeno il tempo di ripulire il teatro ed ecco, subito, un altro sold out. Maurizio Lastrico, ancora un genovese che vince in casa, ha fatto anche lui due serate da tutto esaurito e, già da giorni prima delle recite, si leggeva il cartello che informava come fossero disponibili solo posti in piedi.
Quarto ed ultimo fermo immagine. Che non è su una sera, ma su una stagione e su un ruolo. Quello del teatro dell'Archivolto e di Pina Rando e Giorgio Gallione che, eroicamente, portano avanti il loro lavoro in una terra difficile come Sampierdarena riuscendo a conciliare ruolo sociale del teatro, qualità e quantità (di spettatori), tanto da aver conquistato il biglietto d'oro. E lo fanno con un incredibile e surreale sottodimensionamento dei fondi che arrivano dal Fus, il Fondo unico per gli spettacoli, rispetto a quelli che spettano ad altri teatri. E lo fanno riuscendo a schierare artisti straordinari, non i soliti noti genovesi che calcano altri palcoscenici e che, in qualche caso, andrebbero bene per i teatri parrocchiali. Senza offesa per i teatri parrocchiali. Invece, al Modena, recitano e provano i grandi del teatro contemporaneo italiano, mettendosi in gioco: ultima della serie, come potete leggere proprio qui a fianco, Valentina Lodovini, che solo Gallione ha convinto ad affrontare un testo così duro.
E c'è spazio e c'è tempo anche per l'ultimo scatto sul rullino, quello della foto che viene benissimo anche se la pellicola sembra già finita. In questo caso, la pellicola già quasi finita sarebbe il territorio di Genova, visto che il teatro è quello di piazza Odicini a Voltri, il Cargo. Ma lo scatto che resta bene impresso è quello del lavoro, soprattutto registico, di Laura Sicignano, che del teatro del Ponente è l'anima e il cuore. E che ha firmato alcuni degli spettacoli più belli degli ultimi anni, da Donne in guerra a Scintille, due veri capolavori.
Poi. Poi si riavvolge il rullino e, un po' come si faceva una volta quando si invitavano gli amici a casa a vedere le diapositive, si prova a dare una traduzione al rullino. Traduzione che è particolarmente significativa se si considera che, da sempre, e in particolare nelle ultime settimane, alcuni dei protagonisti degli scatti non si sopportano fra loro. O, nel migliore dei casi, si sopportano a malapena.
Ma, proprio perchè sono diversi, e proprio perchè dicono cose diverse, il discorso vale ancora di più. Perchè fa vedere come Genova, davvero, al di là degli slogan, possa essere «la città dei teatri e della cultura», intendendo nella seconda metà della definizione il lavoro importantissimo della Fondazione guidata da Luca Borzani che fa i pienoni ed ha un ruolo sociale rilevante. Anche se dovrebbe riuscire, ancora di più, ad emendarsi dalla classica agenda che propone i classici nomi con le classiche idee. A dire il vero lui, ogni tanto ci prova e posso testimoniarlo anche personalmente. Ma, alla fine, i programmi sempre lì vanno a parare, sul giro dei soliti noti e delle «colonne del Palazzo» che firmano gli appelli a Grillo perchè faccia il governo col Pd. E, qualche volta, sembrano presi di peso dalle pagine di Micromega. E, qualche volta, non mi piacciono proprio, come il prossimo di «La storia in piazza». Ma, per l'appunto, questi sono gusti personali.
Insomma, c'è spazio per tutti: basta cercarlo con intelligenza, diversificare l'offerta e - se il pubblico, nel senso delle istituzioni, comprensibilmente, non possono avere più la forza di intervento di una volta - puntare sul pubblico, ma nel senso degli spettatori. E poi, sugli sponsor, che di fronte ai pienoni non possono essere che invogliati. E, infine, anche sulle fondazioni bancarie, che ce lo dovrebbero avere nello statuto e nel Dna e che invece negli ultimi anni si sono occupati troppo di azioni delle banche stesse. E meno male che, come da un cilindro di Duccio Garrone, negli anni scorsi è comparsa la Feg che ha svolto e continua a svolgere una funzione di supplenza, grazie anche all'attenzione per i teatri del segretario generale Paolo Corradi. Un ruolo che deve assolutamente continuare, proprio perchè ha rivoluzionato il concetto di cultura in città.
Su queste pagine, da liberali quali siamo, ovviamente non propaganderemo l'esistenza di teatri in perdita e di teatri a prescindere. Anzi - proprio come ci ha insegnato Maifredi, con la sua struttura leggera - è possibile fare teatro senza pachidermi. Ma è anche vero che è scandaloso che nessuno si scandalizzi se un teatro rischia di chiudere e che quelli che bloccano la sopraelevata per i posti a rischio nella siderurgia non facciano nulla per i posti a rischio nella cultura, che sono di più. Così come è curioso, per non dire altro, che l'auspicio della riduzione dei teatri o, almeno, del ruolo di alcuni teatri venga dall'assessore alla Cultura Carla Sibilla. Almeno, lo lasciasse dire a quello al Bilancio.
Insomma, è semplice, dovrebbe essere semplice. No alla cultura assistita e ai teatri che hanno il brivido dell'impopolarità. Ma, allo stesso modo, ricordiamoci che non è vero che «con la cultura non si mangia».
Con la cultura, ci si mangia. Non sulla cultura. Basterebbe questo. Il dibattito è aperto.
(2-continua)
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