La cultura, petrolio di Genova

La cultura, petrolio di Genova

(...) alle comunali-Cinque Stelle alle politiche. Certo, regge ancora il porto, ma più per la bravura dei terminalisti e dei lavoratori, che per altro. Comunque una realtà che, come abbiamo spiegato ieri, va valorizzata e dotata di infrastrutture adeguate, non certo mortificata.
Insomma, siamo in una città che, per dirla con le parole di un osservatore attento come l'ex direttore del Tg1 Augusto Minzolini che è venuto qui per la campagna elettorale che l'ha portato a Palazzo Madama «non riesco nemmeno ad immaginare fra dieci anni». Eppure, in questo quadro tutt'altro che confortante, due certezze ci sono. La prima - ed è un tormentone su queste pagine, un mio pallino fisso da cui penso davvero si possa ripartire - è la valorizzazione della Bellezza, principale risorsa di Genova. Se non ci si rende conto che nessuna metropoli, considerando tali le città sopra i cinquecentomila abitanti, ha le caratteristiche di bellezza, di clima e di vivibilità che ha Genova, allora non si capisce niente. E queste caratteristiche - uniche - non possono che essere il valore aggiunto della nostra città. Soprattutto perché siamo lo sbocco al mare, fra l'altro, di Milano, della Lombardia e della Svizzera.
La seconda caratteristica, positivissima, è la rinascita della cultura. Che magari non si mangia. Ma che, certamente, aiuta a mangiare ed è una vera e propria industria che va trattata anche a livello economico alla pari delle altre. Ne discutevamo tempo fa con Pina Rando, anima con Giorgio Gallione del miracolo Archivolto a Sampierdarena, che ha un triplice valore: economico, culturale e sociale, visto che fare spettacolo e far uscire le persone di casa la sera in via Buranello penso valga di più. Perché se chiude o minaccia tagli una fabbrica, la gente blocca la Sopraelevata e se scompare un teatro nessuno dice niente? Chiaramente, non può andare così (piccola parentesi, per me non bisognerebbe mai bloccare la Sopraelevata). E la cultura è un'economia come un'altra. Solo, più nobile.
Quindi, mi ha emozionato vedere qualche settimana fa strapiena la sala Mercato di piazza Modena per uno spettacolo di nicchia come Banche. Un ladro in casa di Bebo Storti e Fabrizio Coniglio, peraltro davvero brutto e mal riuscito a differenza del bellissimo Suicidi? andato in scena nella stessa sala e con gli stessi attori. Ma, al di là del giudizio artistico, la sala era piena e questo è quello che conta. Esattamente come sono stati venduti persino i posti in piedi ed esaurite le repliche al Politeama per Aldo Giovanni e Giacomo, alla Corte per la Compagnia Attori e tecnici, alla sala grande del Modena per Ambra col testo di Massimiliano Bruno, al Carlo Felice per il Lago dei cigni e sempre al Carlo Felice per Paolo Conte o per Franco Battiato: anche per lui i biglietti sono andati a ruba in pochissimo tempo e sono stati venduti l'ultimo giorno solo posti in piedi.
Insomma, stiamo raccontando un fenomeno straordinario. Una città che, almeno dal punto di vista della cultura, rivive. Così come rivive nelle conferenze nelle mostre e nelle iniziative della Fondazione per la Cultura di Palazzo Ducale, che Luca Borzani ha portato a risultati di pubblico davvero notevolissimi. I cicli del Ducale, con e senza la Fondazione Edoardo Garrone, sono ormai un appuntamento fisso e anche un osservatore di livello come Vittorio Coletti, italianista sublime, uomo saldamente di sinistra, ma senza mai mandare il cervello all'ammasso, persona perbene e sempre lucida nelle analisi, ha scritto per Franco Monteverde un ottimo articolo sul tema su La Repubblica-Il lavoro.
Il punto sta proprio lì. Nell'accorgersi che a Genova sta succedendo qualcosa, che un miracolo è possibile, che dalla cultura si può ripartire. Mandando a bagno quella assistita e parassitaria e dando spazio alla cultura vera, seria, popolare, che guadagna. Se questo miracolo ci sarà, allora, forse riusciremo a raccontare un'altra storia e un'altra Genova, fra dieci anni. Nell'attesa, sempre Vincenzo Spera, il promoter che ha organizzato i concerti di Conte e Battiato, il 26 marzo porta a Genova Sulla strada, il nuovo straordinario spettacolo di Francesco De Gregori. Che canta, fra l'altro, un capolavoro assoluto come Guarda che non sono io: «Guarda che non sono io quello che mi somiglia/l'angelo a piedi nudi, o il diavolo in bottiglia/il vagabondo sul vagone/La pace fra gli ulivi, e la rivoluzione/Guarda che non sono io la mia fotografia/Che non vale niente e che ti porti via...». E ancora: «Cammino per la strada/qualcuno mi vede/e mi chiama per nome/Si ferma e vuol sapere/e mi domanda qualcosa di una vecchia canzone/Ed io gli dico “Scusami però non so di cosa stai parlando/sono qui con le mie buste della spesa/lo vedi, sto scappando/Se credi di conoscermi/Non è un problema mio/E guarda che non sto scherzando/Guarda come sta piovendo/Guarda che ti stai bagnando/Guarda che ti stai sbagliando/Guarda che non sono io“».
La sera di De Gregori molto probabilmente ci sarà il tutto esaurito e andranno nuovamente a ruba anche i posti in piedi per sentire parole così, che in musica sono ancor più struggenti.


E, in un mondo dove don Gallo detta le delibere comunali e l'agenda di Tursi e dove i Cinque Stelle prendono più del 30 per cento dei voti, come solo in Sicilia, questa è una boccata d'aria. La più bella delle vittorie. Il più moderno dei programmi. Il più poetico dei simboli di un possibile riscatto.
(1-continua)

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