Don Chisciotte e l'impotenza di Genova

(...) per bimbi. Invece, sono entrato in un mondo. Un mondo che, purtroppo, non tornerà prima della fine della stagione in corso, ma che - Pina Rando me l'ha promesso personalmente - dovrebbe far certamente parte del prossimo cartellone. Però, anche per gli adulti, nella programmazione serale.
Lo spettacolo si chiama Il cuore di Chisciotte e le locandine lo definiscono come «di e con Gek Tessaro». Gek, nonostante il nome, è un poeta. Un poeta del colore, che racconta e dipinge, cancella e racconta, ridipinge e riracconta le sue storie. E già ha collaborato con l'Archivolto, tanto da entrare a pieno titolo nella sua squadra con La (s)fortuna di Ganda.
Ma lì è una metà dello spettacolo, quella grafica. Nel cuore di Chisciotte, invece, Gek Tessaro fra tutto: recita e contemporaneamente disegna con mille tecniche. E il fascino evocativo delle sue parole e dei suoi colori che si trasfigurano in continuazione, fino a cancellarsi sempre, ha lasciato tutti a bocca aperta. I bambini ammirati, noi genitori commossi, lui stesso quasi turbato dalle emozioni che percepiva in platea.
La storia, ovviamente, era quella di don Chisciotte, dei suoi sogni folli, della sua lotta contro i mulini a vento. I colori e le emozioni, fortissime. La colonna sonora, genovesissima. Anziché la splendida, ma forse più scontata Don Chisciotte di Francesco Guccini e Flaco Biondini nei panni di Sancho, Gek Tessaro è andato a scavare come un cane da tartufo una canzone ancor più bella e struggente, semisconosciuta, nata dalla penna di Ivano Fossati. Di uno dei migliori Fossati di sempre, quello di Discanto (per quel che può interessare nei miei beni culturali assoluti e fossatiani, ai primi posti insieme a Lindbergh, Lampo viaggiatore e La pianta del te).
I profumi che arrivano dal palco sono quelli classici di Ivano. Quelli di piazza Galileo Ferraris a Genova che diventa come le immense pianure spagnole di Chisciotte, quelli della sua casa di mare e di vento di Leivi, quelli dei profumi di lavanda della sua amatissima Provenza. Comunque, profumi delle nostre terre, che diventano la sterminata Spagna. E, quando questi profumi si fondono con i disegni di Gek Tessaro sul palco, col loro farsi e disfarsi in continuazione, è magia pura.
Confessioni di Alonso Chisciano, il nome originale di don Chisciotte, è così una poesia che contrappunta con suoni di percussioni etniche e magiche le parole bellissime, la voce rotta e i disegni, rotti pure loro, di Gek Tessaro sotto il palco di Sampierdarena: «A me, a me, a me/ una pazzia d'argento/ al mio cavallo una pazzia di biada/ Ah come hai potuto pensare/ di cambiarci la strada/ che se la morte è soltanto un mare/ vedi, mi ci tuffo vestito/ Ahi polvere delle mie strade/ ah, scintille del mio mare inaridito/ come hai potuto pensare/ di spogliarmi proprio adesso/ giro nel mio deserto e fa lo stesso/ Per non scalfire il tuo senso morale/ ma dentro/ caro il mio ingeneroso narratore, dentro,/ dentro è tutto un altro carnevale». E poi, la follia di Alonso-Chisciotte continua fra disegni sempre più voraci di se stessi e parole di Ivano che salgono fino alla fine: «Ma senti che odore di carta e incenso/ da una parte ti dico grazie/ e dall'altra continuo/ solo e senza corpo a scornarmi con il vento».
I bambini non capivano ovviamente tutto. Ma erano comunque a bocca aperta. Noi grandi, e il protagonista, commossi come raramente capita. L'impressione era quella di essere in mezzo a una metafora di immagini, parole e musica dell'impotenza di Genova. E, in platea, ti sentivi Chisciotte che si scorna con il vento.


Ma il fatto che te ne rendessi conto, grazie a un capolavoro di cultura, era già il segno che vincere è possibile. Che l'unica sconfitta è arrendersi e accettare questa Genova. Che non è Genova, sogno che non lo sia, che non possa esserlo.
(2-continua)

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