«I genovesi votino il senatore per dare un futuro alla città»

«I genovesi votino il senatore per dare un futuro alla città»

«Vorrei dirlo forte e chiaro, in questi giorni, ai miei concittadini: scegliere come sindaco Enrico Musso significa fare il bene di Genova, ma ragionare anche in prospettiva nazionale». Alfredo Biondi (nella foto) - liberale da sempre e per sempre, nove legislature alle spalle («con i voti della gente» precisa) e più volte ministro, uomo di legge e di politica vissuta in primo piano - si rivolge direttamente ai genovesi con un appello «a favore di una scelta consapevole e responsabile per garantire il futuro».
Perché, onorevole Biondi, lei parla di prospettiva nazionale?
«Lo dico, in quanto Genova può tornare ad essere, come già fu un passato, il laboratorio politico di soluzioni valide e applicabili all’intero Paese, in termini di coerenza fra programmi e realizzazioni concrete, fra progetti e autentica capacità di risolverli».
Ci riconosce Musso, in questo quadro?
«Senza dubbio. Bisogna rifletterci, al momento di decidere per chi votare al ballottaggio. Il professor Musso ha dimostrato di essere un liberale vero, di stampo non elitario, ma moderno, portatore dei valori dell’umanesimo liberale che ha un’identità anche cristiana e sociale. È l’uomo giusto, insomma, per aggregare l’ampia area dei moderati».
Un’area che, però, da quello che si è visto al primo turno, pare molto ridimensionata.
«Un momento: dobbiamo guardare bene l’esito del voto. Doria ha ottenuto poco più di un quinto dei consensi dei genovesi. Chi si è astenuto, e quindi non si riconosce nel suo disegno politico e amministrativo, può riconoscersi ora in Musso. Anche per non perpetuare il decadimento progressivo della città».
Quindi, secondo lei, ci sarebbero i numeri?
«Eccome. Sarebbe sufficiente che i cittadini genovesi si rendessero conto che Musso può interpretare al meglio le istanze comuni dei cattolici, dei riformisti, dei liberali, e soprattutto che può ridare slancio alla città avendo indicato con precisione, a differenza del suo avversario, gli obiettivi di sviluppo e le risorse per raggiungerli, le entrate e le spese, i mezzi a disposizione. Il divario con Doria sarebbe già colmato».
Va bene per quanto riguarda i cittadini. Ma l’adesione dei partiti non sembra così convinta.
«Innanzi tutto, prendiamo atto che i partiti hanno detto che non ci sono contrasti di programma. Mi fa piacere anche constatare che l’attuale dirigenza del Pdl ha assunto una posizione logica, orientata ad appoggiare chi punta alla diversificazione per cambiare l’attuale, disastrosa realtà genovese».
Bisogna tradurre questa propensione in voti.
«Appunto. E qui si colloca il mio appello. I genovesi sono arbitri del futuro della propria città, possono e devono riprendere in mano la situazione. Lascino da parte le sfumature ideologiche e politiche, a favore di un denominatore comune. Che, nel caso di Musso, è innovativo, caratterizzato da un programma articolato, preciso, direi quasi fin troppo meticoloso».
L’opposto di quello proposto dalla sinistra per decenni e anche in questa campagna elettorale.
«Il ballottaggio è una sorta di referendum.

La scelta è fra chi vuol mantenere l’antico (di cui tutti si lamentano, salvo poi conservarlo) e il vero cambiamento, fra un sistema di potere che si autoalimenta e si autocondiziona che può essere sostituito finalmente da una svolta netta, radicale, propositiva. A favore della ripresa e dello sviluppo di Genova».

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