(...) che stanno facendo sacrifici sulla propria pelle per salvare la cultura, ovviamente era stata compresa e anche appoggiata, proprio perchè civile e non lesiva dei diritti altrui.
Insomma, se esistesse un'attestato alla democristianeria, nel senso più bello e positivo che la parola sa avere, Guerello sarebbe insignito della laurea ad honorem. Perchè è talmente tessitore, talmente mediatore, talmente ironico e smitizzatore nell'affrontare i conflitti, che riesce a sminarli proprio non prendendoli di petto. Penso non solo alla gestione delle problematiche in aula, quando c'è una protesta.
Penso, ad esempio, alla gestione degli «articoli 54», le richieste di informazioni agli assessori che sono diventate il vero cuore del consiglio comunale. Tutti ci tengono moltissimo, ce ne sono giacenti 264, 111 dei quali presentati dal solo consigliere del Pdl Guido Grillo, tallonato dal leghista Edoardo Rixi. E, soprattutto, ciascuno sponsorizza i suoi, tanto che la conferenza dei capigruppo avrebbe tutte le caratteristiche per trasformarsi in una sorta di sfida all'Ok Corral settimanale fra i responsabili consiliari per accontentare tutti. Invece, con la sua gentilezza innata e i suoi modi felpati, in una sorta di coppia di fatto della cortesia con il suo vicepresidente del Pdl Stefano Balleari, Guerello riesce sempre in capolavori di equilibrismo che fanno contenti tutti o quasi. Usa il bilancino dei «54» fra uomini e donne, levante e ponente, Valpolcevera e Valbisagno, vicoli e alture, gruppi e correnti. E, alla fine, ne esce un buon risultato. Sempre perfettibile, certo. Ma comunque ottimo.
Guerello è un genoanissimo che però non esulterebbe mai pubblicamente e probabilmente nemmeno in privato per un cattivo risultato della Sampdoria. È un esponente del consiglio comunale che rispetta le istituzioni come se si trattasse di casa sua e che tratta la sua poltrona a Tursi come la sua poltrona in salotto, ma è anche un cattolico che non ha paura a schierarsi a fianco al cardinale Bagnasco per «dieci piazze per dieci comandamenti» spiegando che «un'altra lettura del comandamento non rubare è quando il governo, la cosa pubblica, non vengono amministrate nel modo migliore. Significa rubare qualcosa alla comunità».
Insomma, se esistesse un'immagine delle larghe intese prima delle larghe intese, quella sarebbe Giorgio Guerello. Se ci fosse un sinonimo di «governo Letta» in salsa genovese, quello sarebbe Giorgio Guerello. Ma non come simbolo di vaselina dialettica, non come emulo di Arnaldo Forlani che, quando ci parlò per mezz'ora e noi lo fermammo: «Presidente, ma non ci ha detto niente», rispose serafico: «E potrei continuare per ore». Ecco, nella forma Guerello è quella roba lì. Nella sostanza, invece, no. E l'ha dimostrato con il pugno duro contro i centri sociali e le loro continue manifestazioni in sala rossa, trasformata anch'essa in una sorta di casa okkupata.
Penso che la linea da seguire sia quella lì. Senza inutili esibizioni muscolari, ma anche senza cedimenti da mollaccioni. Perchè, a fronte di un Guerello che non sopporta oltre un certo livello, c'è un Marco Doria che in qualche modo è ostaggio della sua cortesia nell'ascoltare i centri sociali e l'elettorato di riferimento che l'ha portato a vincere le primarie e poi a vincere le elezioni.
Ma quei mondi lì sono pericolosi da maneggiare. È successo a Marta Vincenzi che prima li legittimò e poi ne fu tradita. Sta succedendo a Marco Doria che prima ne è stato il beniamino, auspice don Gallo, e ora viene è contestato in continuazione dagli stessi che l'avevano adottato: si tratti di Amiu bonifiche, dei manifestanti sul palco del teatro della Tosse per la presentazione del suo bilancio di mandato o degli sfratti dell'altro giorno. Lui ascolta, ascolta sempre con pazienza. Troppa.
Il punto è che chi gioca con i fiammiferi, rischia di scottarsi. Guerello no, non si scotta.
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