«Macché paracadutato Pronto a dimettermi se non tornerò in Liguria»

(...) Un tempo, e a sinistra, giustamente, candidature come quelle del Minzo sarebbero state presentate come fiori all'occhiello, dimostrazioni pratiche dell'irrompere della società civile nelle liste elettorali.
Perchè Minzolini tutto è fuorchè il paracadutato senza particolari meriti piazzato da Roma nelle liste liguri (ce ne sono in tutti i partiti) per usurpare il posto di uno statista nato alle nostre latitudini. Ma è uno di quegli «indipendenti» che danno lustro a una lista. Soprattutto è la dimostrazione che si può essere giornalisti non di sinistra ed essere ottimi giornalisti, persino in Rai dove troppo spesso il centrodestra - occorre dirlo - si è segnalato per la mediocrità di molti che ha piazzato e per l'inaffidabilità di tanti altri, pronti a passare dall'altra parte al primo sondaggio sfavorevole. Oggi, er Minzo, racconta la sua scelta di candidarsi. Con un'avvertenza: se lo reintegrano al Tg1 - come la legge impone - torna di corsa al suo mestiere. «In politica sono di passaggio, siamo nati per fare un lavoro». E dietro di lui sono pronti due ottimi candidati come Roberto Cassinelli, il miglior deputato della scorsa legislatura, e Alessandro Gianmoena.
Senatore Minzolini...
(ride, visto che è e resterà, anche a Palazzo Madama un giornalista doc)
...è obbligatorio partire dalla sua causa sull'uso della carta di credito aziendale. Lei è stato assolto...
«Tre volte: dai magistrati penali in mezz'ora, dalla Corte dei Conti e dall'ordine dei giornalisti. Del resto, la legge in base alla quale la Rai, discrezionalmente, mi ha tolto il Tg1 è stata usata tre volte nella storia d'Italia. Per un postino, per un carabiniere e per me. Ora sono obbligati a rispettare anche l'altra metà della legge: quella che mi deve restituire la direzione».
La Rai non pare morire dalla voglia di reintegrala. Quindi, almeno per ora, sembra destinato al Senato. Promette di fare il senatore ligure e di non sparire una volta eletto?
«Guardi, quando faccio qualcosa mi piace farla seriamente. E penso che un parlamentare abbia un ruolo nazionale, ma che debba avere anche un impegno locale. Nel momento in cui mi rendessi conto di non essere in grado di rispettare anche la parte sul territorio, tornando spesso in Liguria, mi dimetterei immediatamente».
Chi gliel'ha fatto fare? Lei era, più o meno, un venerato maestro, rispettato (o odiato, allo stesso modo) da tutti. Perchè si è schierato?
«Semplicemente, al Tg1 ho provato a dare un equilibrio politico a una Rai completamente sbilanciata su una parte. Per difenderne la credibilità. Hanno usato un'accusa infame, e come si è visto falsa, come quella sulle spese, per farmi fuori. Ma hanno trovato un osso duro».
E in politica? Chi gliel'ha fatto fare di candidarsi? In fondo, anche oggi, lei è superdirettore («direttorissimo» direbbe il Cav) dei corrispondenti esteri Rai, con uffici, dotazioni, qualifiche...
«Guardi, l'8 gennaio, su Panorama, è uscito un mio articolo in cui spiegavo come fosse possibile riprendere i voti dei delusi del centrodestra. Si intitolava «Tra sogno e realtà» e partiva da una semplicissima constatazione. Da un lato, il Pd favoritissimo avrebbe perso voti a favore di Grillo, di Ingroia, di Monti per i delusi di Renzi. Dall'altra parte, la fortuna di Berlusconi è stata quella che per dieci mesi in cui ha sbagliato politica appoggiando il governo dei tecnici, nessuno si è posto il problema di prendere sul serio il posto politico che aveva lasciato sguarnito».
Insomma, lei si candida per confermare con i fatti il suo articolo?
«Non era una profezia così difficile. Appena Berlusconi ha mollato Monti e i cattivi consigli e consiglieri e ha superato la frattura fra la politica suicida del Pdl fino a quel momento e ciò che chiede il suo elettorato, i consensi sono tornati. Il governo Monti ha rappresentato tutto ciò che gli elettori del Pdl non vogliono: le tasse, le banche...».
Matteo Renzi avrebbe potuto occupare quello spazio. Poi, però, non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo.
«Aveva una proposta buona, ma poi non ha avuto il coraggio di portarla avanti. Ora come è possibile pensare di farlo insieme a Vendola?».
Cos'è? Il richiamo della foresta?
«Esattamente. Succede sempre così, ogni volta che un leader di sinistra prova a fare una politica riformista. È capitato a D'Alema ai tempi del congresso dell'Eur e della Bicamerale, è capitato a Veltroni dopo il Lingotto e ora è capitato a Renzi. Con l'alibi dell'antiberlusconismo, sono finiti tutti vittime del loro modo di demonizzare l'avversario e sono stati costretti all'abiura».
Che idea si è fatto del Pdl ligure, girando la regione in lungo e in largo? Quando sono uscite le liste, non è che il suo nome sia stato accolto con scene di giubilo.
«Certo e in parte ho compreso le proteste, proponendomi con spirito costruttivo, disponibile e aperto ad ascoltare tutte le anime, con il massimo rispetto di chi ha lavorato fino ad oggi. Vede, io non penso di mettere radici, non in Liguria, ma nel partito ligure, e quindi posso essere un'opportunità per riportare la serenità».
Eppure, soprattutto nelle scorse settimane, si sono sentite minacce da parte di dirigenti e quadri di votare per altri partiti. Ora le cose sembrano andare meglio, con un ritorno alla ragionevolezza. Ma lei cosa pensa di tutto questo?
«Guardi, io che non sono un politico, penso che la politica sia fatta di ideali, non di personalismi, per cui le idee vengono meno quando non c'è più la poltrona».
Nei suoi confronti, però, tutte le anime sembrano concordi. Al Senato, la votano tranquilli.
«Ma io invito tutti a votare Pdl anche alla Camera. Anche perchè tutti i sondaggi più credibili dicono che centrodestra e centrosinistra sono lì, lì vicinissimi. E chi prende un voto in più conquista il premio di maggioranza. Ricordiamoci il 2006 quando il centrodestra perse le elezioni per 24mila voti. Credo che nessuno voglia prendersi la responsabilità di rischiare una situazione simile».
Fra l'altro, stavolta, vincere il premio di maggioranza è doppiamente importante, perchè poche settimane dopo le politiche si elegge il presidente della Repubblica. Lei ha qualche idea in proposito?
«Vorrei un leader: di destra se vince la destra, di sinistra se vince la sinistra. Non mezze figure. Meglio D'Alema che una controfigura di D'Alema, serve qualcuno che abbia una personalità forte. Basta con le terze file prese per essere super partes e che poi non lo sono. E dico anche che non vorrei nessuno che è stato advisor della Goldman Sachs e che gravita attorno al mondo della finanza e delle grandi banche d'affari».
Quindi chi non vorrebbe?
«Non voterei per Prodi, Amato, Draghi, Monti e, purtroppo, nemmeno per Letta».
Dal Quirinale alla Lanterna. Che impressione le hanno fatto Genova e la Liguria durante la campagna?
«Nelle riviere ho trovato vitalità. A Genova, invece, no. Mi fa paura e, se non cambia, non riesco proprio a vederla fra dieci anni, non so immaginarmela.

Senza Terzo Valico e Gronda è morta. Eppure, in diecimila scendono in piazza ad applaudire chi dice no a Terzo Valico e Gronda. Che futuro può esserci in una città così?».
Da giornalista doc, l'ultima domanda, quella vitale, ha voluto farla lui.

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