Quella bellezza liberty di Genova

Quella bellezza liberty di Genova

(...) Non la Roma di piazza San Pietro, di piazza di Spagna, di piazza Navona, della fontana di Trevi e del Colosseo. Ma la Roma, anzi le mille Rome, delle diversità e delle ricchezze architettoniche, dai palazzi umbertini al razionalismo, fino al liberty, persino i palazzoni di Vigne Nuove.
E, in fondo, proprio il razionalismo e il liberty sono anche il vero valore aggiunto di Genova. Pensare agli scempi messi in scena dagli anni Cinquanta in poi, ai palazzi tutti uguali o, peggio, all'architettura ideologica che sta dietro progetti come le Dighe di Begato o le Lavatrici - con gli spazi comuni e il tentativo «comunista» (va chiamato con il suo nome) di far convivere forzatamente persone diverse insieme, di cui ci siamo già occupati nelle scorse settimane - è spiegarsi anche il perché della decadenza di Genova. Certo, con il boom delle Partecipazioni Statali, la crescita continua del numero di abitanti richiedeva moltissime costruzioni e la fame di immobili per abitazione non ha fatto andare troppo per il sottile nelle scelte estetiche.
Eppure, quei casermoni anni Settanta e anche gli edifici pubblici di quel decennio e di quello successivo gridano vendetta. Vedere le scuole a forma di parallelepipedo grigio che abbondano in città e metterle a confronto, ad esempio, con quella, meravigliosa, di piazza Rissotto a Bolzaneto o con quella di via Ariosto a Certosa è segno di due culture diverse, prima ancora che di due architetture differenti.
E, per l'appunto, il liberty e il razionalismo sono due valori per Genova. La bellezza di piazza della Vittoria di notte o l'emozione che scaturisce vedendo alcuni edifici di inizio secolo sparsi in tutti i quartieri, riempie il cuore e riconcilia con una Genova che fa troppo per non farsi amare. E, in questo quadro, si inseriscono bene anche i mezzi pubblici e il trasporto a fune e su rotaia che, come abbiamo spiegato qualche settimana fa, può essere davvero il punto di svolta per la nostra città.
Mi ha fatto estremamente piacere - quando ho scritto delle due funicolari di Sant'Anna (Portello-via Bertani) e di quella dalla Zecca al Righi, con lo splendido tratto in tunnel sotto corso Carbonara, dell'ascensore di Montegalletto da via Balbi a corso Dogali a Castelletto con i suoi due tratti orizzontale a fune e verticale da ascensore vero e proprio, e della ferrovia a Cremagliera da Principe a Granarolo - sentire le vostre reazioni. E sentire che, anche per voi, straordinari amici prima ancora che lettori, il futuro è lì. Alcuni interventi li abbiamo già ospitati, altri ancora ne ospiteremo, l'ex assessore Arcangelo Merella sta lavorando sull'ascensore inclinato di Quezzi.
Ma, al di là dei discorsi trasportistici, c'è un valore artistico in queste opere. La loro Bellezza. La cabina in legno del trenino a cremagliera di Granarolo, che somiglia a una funicolare ma che è treno a tutti gli effetti, e la bellezza liberty dell'ascensore di Castelletto, che parte da Portello e arriva alla Spianata.

Quello di Giorgio Caproni: «Quando mi sarò deciso d'andarci, in Paradiso ci andrò con l'ascensore di Castelletto, nelle ore notturne, rubando un poco di tempo al mio riposo».
Alla Diga, al Cep o alle Lavatrici, la poesia non l'hanno scritta. Nemmeno Sanguineti.

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