Rina, una donna forte che ha lasciato il segno nel Ponente ligure

La signora Rina: ci eravamo ripromessi di parlarne ed eccoci qua. La Rina dei Piani era - anzi è - una persona con le idee chiarissime, una donna forte che tante ne ha viste. La Rina è una caliente Emiliana di Villa Minozzo o Busana (?), non ricordo, comunque di quelle parti lì dove per esprimersi urlano come ossessi, convinti che il volume della voce sia sinonimo di autorità. Anche la sorella, più robusta e dai solidi polmoni, quando cantava in Chiesa all'Assunta faceva paura.
Allora aiutavo Don Giusto nella conduzione dei canti. Attaccavo un inno e lei si scatenava, la fulminavo con gli occhi per chiederle di stare più bassa. Niente da fare, ormai partita cantava che era una meraviglia e i fedeli a guardarsi stupefatti di tanto spreco. Ah, Emilia mia, dove è così bello urlare, quanto mi manchi!
Chi conosce la gente di quelle parti ha dunque capito che tipo sia la Rina, tipo che all'alba degli ottanta anni urla fieramente che andrà avanti impavida sino a quando Dio vorrà. Ma fa anche capire di stare attenti che non sia lei a sopravvivervi.
D'altra parte ha un curriculum di sopravvivenza di tutto rispetto. La Rina se ne partì dall'Emilia negli anni tenebrosi delle lotte fratricide tra partigiani e fascismo residuo, tra partigiani e partigiani, tra vicini di casa e parenti. Insomma tutti contro tutti con infamie ed atrocità che solo chi ha vissuto in quelle zone può ricordare. Anzi dimenticare, io tra questi.
La tosta signora se ne partì da Villa Minozzo, o Busana (?) a piedi, meta la Liguria dove c'era una certa opportunità di lavoro, e quindi di vita. Discese dalle sue montagne col cuore stretto ma con la volontà feroce di farcela e arrivò a Reggio Emilia. Poi, giorno dopo giorno, Parma, Fidenza, Piacenza ecc. Tutto un pezzo di via Emilia a piedi, dormendo nei fienili o in qualche casa ospitale. Così si viveva allora. Quanta nostalgia nei suoi ricordi, in definitiva anche i miei, di lotte, di morti, vendette e sangue. Ma anche sereni ricordi di sopravvivenza. Ricordo ancora la cioccolata che ci regalavano gli americani nel '45. Una pacchia, quasi le Maldive di oggi.
La Rina, raccontando l'incredibile viaggio durato un mese, si chiede se è accaduto veramente o è stato un sogno. Questa è una costante di chi ha vissuto quegli anni talmente assurdi da chiedersi se veri. Ma passano gli anni, subentra un sistema, il matrimonio, i figli e i nipoti e i ricordi vacillano e si stemperano. Li racconti ogni tanto ai parenti; quando va bene questi ti sorridono...
La Rina dal fisico robusto e dal cervello fino, si mise a prestar servizio lavorando come un mulo. E lavorando come un mulo riuscì a comprarsi un appartamento e il negozietto che con voce tuonante ha gestito per anni ed anni. Lei, partita con gli zoccoli e camminando per trecento chilometri. Ma un po' a piedi ce la siamo fatta tutti la vita ed anche in salita e ne è rimasta una aggressività positiva. Un po' come Guareschi che nel Lager si confortava dicendosi. «Non muoio neanche se mi ammazzano».
E di occasioni di «morire» alla Rina, a me e a voi, quante ne sono capitate. Malattie, dispiaceri, lutti. La Rina perse anche il marito, compagno di scalata.
Ecco il perché di quel suo timbro di voce, il non lasciar parlate gli altri. Le tengo testa, alzo anch'io il tono di voce e lei lo alza ancor di più e per fortuna stiamo parlando di problemi di Fede, di Medjugorie. Cosicché, l'incauto cliente in quel momento entrato nell'esercizio della signora Rina, sbianca e si ritrae e fa per andarsene, ma viene preso al volo con un urlaccio dalla titolare che gli chiede che accidenti desidera acquistare, che si decida perché lei non ha tempo da perdere. Ha ben altro per la testa.
Il cliente chiede, sceglie, paga e scappa giurando che non metterà più piede nel vivace esercizio. Esercizio che ultimamente non tirava bene, merito dei mostruosi centri commerciali che stanno distruggendo i negozi. I salotti del buon vivere.
Due chiacchiere con la Rina sono sempre fruttuose. Innamorata di Dio, tiene costantemente accesa Radio Maria, distribuisce volantini con preghiere e suppliche. Ha assistito per anni Don Giusto, tenendo in ordine la Chiesa e spendendo del suo per i fiori, arrancando con la sua gamba stanca che tanto fastidio le dà. Vorrebbe tagliarsela - forse da sola -, tanto la serve male. E tira avanti a testa bassa, mi chiede notizie di Medjugorje, e mi dà consigli non richiesti ma accetti.
È uscendo dal negozio che ripenso a quei consigli e vedo che la Rina era entrata dentro di me, aveva capito che cosa mi stavo chiedendo e mi dava la risposta, intercalata da giaculatorie. A voce altissima, che anche il gelataio contiguo sa apprezzare, volente o nolente.
La Rina ed io: una se ne viene a piedi da Villa Minozzo nel '44. Io me ne arrivo in macchina dopo tanti anni tribolati. E così all'alba dei settanta ed ottanta anni rispettivamente ci diamo ancora da fare, litighiamo per certi preti o per certe perse liturgie e imponendo a destra e a manca, la necessità della preghiera continua e instancabile.
Allora, nel '44, avevo otto anni. Lei una bella ragazza diciannovenne. Poi la vita sconvolge tutto e ci proietta dove vuole. Ma non invecchia lo spirito che rimane giovane, come Cristo.

Rimane la voglia di dire e di darsi da fare per Lui, seppure ad altissima voce.
Ma Lui capisce e sorride. Pace e bene.
p.s. La signora Rina se ne è andata alla casa del Padre circa sette anni fa.
A piedi, probabilmente..
(1- continua)

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