Lo schema Balla, come fare punti grazie all'umanità

(...) che sia Moratti, sia Zamparini hanno classificato come la scelta più sbagliata per le loro squadre. Detto questo, Preziosi ha fatto autocritica con le parole e con i fatti, tutto è bene quel che finisce bene, e tanto di cappello anche al presidente per aver capito e ammesso l'errore incredibile di cui era stato colpevole, anche mal consigliato.
Poi, ribadisco la premessa metodologica che ho sempre fatto in queste settimane: scriverei queste stesse cose anche se il Genoa le perdesse tutte da qui a fine campionato. E qui sia i tifosi genoani, sia Preziosi, sia tutti in squadra e società sono autorizzatissimi a toccarsi ovunque. Ma uso questo paradosso e questo ragionamento di scuola serve per ribadire che qui e ora parliamo di umanità, di vita, di bellezza dell'approccio al calcio. Non di calcio puro. Quello lo lasciamo a Malesani che, in un'intervista a Giampiero Timossi, ottimo capo dello sport del Secolo XIX che ha per il tecnico di Verona un amore quasi fisico, addirittura superiore a quello dimostrato per Maria Nazionale a Sanremo, ha spiegato: «Ballardini gioca con dieci in difesa e Borriello davanti».
Certo, poi non si può far finta che, da quando è arrivato il Balla, non abbia fatto più punti di tutti nelle ultime giornate: due vittorie in casa e due pareggi in trasferta. E il bottino avrebbe potuto essere anche migliore se a Torino l'arbitro avesse fischiato il rigore per il mani di Vucinic e a Parma Bertolacci non avesse preso due clamorosi pali. Ma, ribadisco, parliamo d'altro. Parliamo delle parole che usa il Balla. Ad esempio, con le parole di Marco Rossi, uno che le centellina e che le pesa una ad una: «Ballardini ci ha dato tanto, è una persona umanamente genuina, schietta e vera, di quelle difficili da trovare nel mondo del calcio e poi ci capisce davvero di pallone».
O il fatto che prima abbia messo in panchina Marco Borriello e poi ne abbia fatto il cardine dell'attacco, elogiandolo anche per lo spirito di sacrificio nel tornare a difendere, straordinario. Oppure, l'elogio del gruppo, con pochissime parole, tre. Ma di una forza straordinaria: «Sano e forte». O, ancora, due frasi anch'esse elementari, ma della forza assoluta che ha il grado zero della parola: «Se giochi bene, il resto viene di conseguenza» e «il calcio è molto semplice», usata per spiegare il fatto naturale che a un terzino subentra un terzino e a un regista un regista.
Insomma, la forza di Ballardini è quella di essere un filosofo, certamente minimalista, come le sue metafore di terre romagnole, con il nonno contadino come stella polare. Ma non nichilista, anzi. Ricco di valori. E anche umile. Ad esempio, la cosa che ci ha tenuto a dire più spesso in questi ultimi giorni è stata: «Non abbiamo fatto ancora niente. Dobbiamo costruire il nostro futuro giorno dopo giorno, partita dopo partita, lavorando sodo», perfetto riassunto di questa filosofia.
Il tutto, poi, si traduce in una specie di vita monastica fra lo Sheraton dell'aeroporto, il Trianon a Multedo sulla strada per salire al campo di allenamento di Pegli e, per l'appunto, il Pio. Insomma, Ballardini - un po' come fece nel centro sportivo di Assemini quando allenava il Cagliari - vive come un eremita al campo. Costringendo i poveri Carlo Regno e Stefano Melandri, che sono praticamente due sue protesi, con i tre che vivono in simbiosi in attesa dell'istituzione di un registro ufficiale dei triangoli di fatto. E il tutto è ancor più grave se si considera che i tre amano la bellezza, amano anche il resto di Genova e amano viverla. Insomma, il massimo delle aggravanti. E speriamo di vederli in centro o a teatro quanto prima. Ma, al di là della vita da monastero di clausura, prima ancora che in tutto quello che vi ho raccontato fino ad ora, il vero capolavoro di Ballardini (e Regno e Melandri) è quello di aver recuperato giocatori finiti ai margini della rosa. Nella carezza sulla testa con cui ha accolto l'altro giorno il ritorno all'allenamento di Jankovic, nel far giocare persino Tozser che (giustamente, fino ad oggi) è bersagliato dal pubblico.

E, soprattutto, nel dare appena possibile una chance a Cesare Bovo e Damiano Ferronetti, il primo reduce dall'autogol nel derby, il secondo dall'ennesimo brutto infortunio di una carriera contrappuntata da infortuni: «Dopo tanta sfortuna, se lo meritavano. Hanno un merito doppio perchè in passato hanno sofferto più di altri».
Un uomo.

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