Se Shakespeare porta ancora a teatro migliaia di ragazzi

(...) del teatro della Corte, dove migliaia e migliaia di ragazzi e ragazze - moltissimi attorno ai vent'anni - affollano le replice di RIII. Che, fin dal titolo, è la versione 2.0 del classico Riccardo III shakespeariano portato in scena da Alessandro Gassmann (con due enne, come ha voluto espressamente lui, quasi Alessandro fosse la versione 2.0 di papà con una enne sola), con la traduzione e l'adattamento di Vitaliano Trevisan. Traduzione, lo dico subito, che non sempre è perfetta: capisco, come ha spiegato il protagonista e regista del dramma, la volontà di «trasmettere i molteplici significati di questo capolavoro attraverso una struttura lessicale diretta e priva di filtri, che liberasse l'opera da ragnatele linguistiche e ne restituisse tutta la complessità, la forza, la bellezza e la sua straordinaria attualità»; capisco la voluta caricaturizzazione di alcuni personaggi, che dichiaratamente vanno oltre il grottesco. Ma, ad esempio, per rendere un carattere eccessivo, non credo che mettere quindici volte la parola «cazzo» in tre minuti sia la migliore traduzione possibile per Shakespeare.
Eppure, sono minuzie. Perchè RIII va davvero al cuore degli spettatori e soprattutto dei ragazzi. Ed è un'opera straordinaria: quasi tre ore di teatro che non annoiano nemmeno per un secondo, arrivando alla perfezione a quei ventenni non-amebe di cui vi parlavo. E questa è la più bella vittoria del teatro, ma soprattutto di Carlo Repetti, levatrice dello Stabile che ha voluto fortemente quest'opera in cartellone. Ripagato dai pienoni e dall'accoglienza entusiastica.
E poi, c'è la vittoria di Alessandro stesso. Straordinario in scena, che regge benissimo, ma straordinario soprattutto come regista. E qui c'è la spiegazione del miracolo laico delle migliaia di giovani a teatro per vedere un testo classico senza apparentemente alcun appeal contemporaneo, un dramma legato alla Guerra delle Due Rose in Inghilterra, con un intreccio di parentele, Enrichi, Edoardi e Riccardi in cui è facilissimo perdersi.
Ma Gassmann (e Trevisan) parlano ai ragazzi con un linguaggio in cui la citazione esplicita è quella di Tim Burton, il regista più folle, visionario, cupo, sensibile, dolce e splatter della nuova generazione. Il mio preferito, se è lecito, che ritorna nelle proiezioni sul palco e nella splendida videografia di Marco Schiavoni. Ma, oltre al dark programmatico di Tim Burton, emerge anche un'altra citazione perfetta per i ragazzi: ed è quella dei videogiochi, con i personaggi che sembrano usciti da un fumetto splatter e Riccardo-Alessandro è quasi una Lara Croft del palco.
Ultimo capolavoro: i titoli di coda.

Con nomi e personaggi proiettati sui teli che poi si disintegrano da soli. Sulla colonna sonora, genovesissima e firmata da Pivio e Aldo De Scalzi, che lascia spazio ai Dire Straits di Brothers in arms. Che, in fondo, è uno splendido riassunto della trama di Riccardo III.
(4-continua)

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