Tutti i «chierici» saltati dal Grillo

(...) Gli appelli erano vari ed eventuali, ma se dovessimo fare un minimo comune multiplo del contenuto di tutti, potrebbe essere riassunto in una sorta di «Grillo, non fare scherzi, noi siamo di sinistra e tu devi allearti con il Pd». Poi, per onestà intellettuale, occorre anche dire che - ad esempio nell'appello che aveva come primo firmatario Michele Serra - l'invocazione avrebbe potuto essere anche interpretata come biunivoca e rivolta pure al Pd nei confronti del MoVimento Cinque Stelle. Ma, al netto delle parole e della loro interpretazione letterale, il concetto degli appelli era chiarissimo e mirava a far nascere un governo Pd-Grillo.
Poi, come era abbastanza naturale, fino ad oggi, le risposte di Grillo agli appelli si sono potute sintetizzare nel titolo delle prime manifestazioni di piazza pentastellate, i vari V Day: «Vaffanculo». Ora, è chiaro che le circostanze sono diverse. Ma la citazione quasi obbligata è quella del Tradimento dei chierici di Julien Benda, il libro che denunciò gli intellettuali per le loro scelte politiche. Non perchè con questi appelli odierni si giustifichino regimi odiosi o sanguinari, lungi da me anche solo pensare che tutto questo sia tacciabile di collaborazionismo come quello di cui furono protagonisti molti intellettuali negli anni del fascismo o del nazismo, o più recentemente, il giustificazionismo nei confronti dell'Unione Sovietica o della Cambogia o dei peggiori regimi.
Ma il «tradimento dei chierici» c'è lo stesso. E penso alla recensione di Benedetto Croce, una delle primissime che il libro di Benda meritò in Italia nel 1927, quando il grande filosofo liberale spiegò che «è venuto crescendo l'asservimento dei clercs ai laici, degli uomini di pensiero e di poesia agli interessi politici ed economici».
Per fare qualche nome, fra i firmatari dell'appello «Facciamolo», lanciato attraverso i dispacci dell'agenzia di stampa Ansa, cosa aggiunge una firma alla grandezza di Roberto Benigni come attore o di Lorenzo Jovanotti come cantante? Cosa aggiunge una firma alla geniale intuizione di Oscar Farinetti come creatore di Eataly?
Comunque la si voglia leggere, in ogni caso, le firme «genovesi», liguri o che hanno qualcosa a che fare con la Liguria in calce agli appelli a Grillo sono moltissime. E forse era inevitabile, essendo Beppe in questo momento il genovese più illustre. Tanto che è stata messa in campo tutta una diplomazia al pesto in direzione di casa Grillo. E poi ci sono gli amici di sempre, dal dentista pegliese Gaggero all'architetto Renzo Piano. Insomma, sulla direttrice fra Vesima e Sant'Ilario passa un capitolo della storia d'Italia.
A partire dallo stesso Michele Serra, che è lombardo e vive in Emilia, ma che viene spesso nella nostra città, l'ultima volta qualche lunedì fa all'Archivolto, e non ha mai nascosto di amarla. Oppure, come ha ben ricordato Luca Borzani, presidente della Fondazione per la Cultura di Palazzo Ducale, qualcuno dei firmatari della prima lettera-appello pubblicata su Repubblica è una «colonna di Palazzo Ducale»: su tutti Remo Bodei, coordinatore di alcuni cicli sulla cultura, ma anche Roberta De Monticelli e Salvatore Settis, ospitati spesso a Palazzo. O, fra quelli che abbiamo già citato, anche Farinetti: è piemontese, ma è spesso in Liguria, soprattutto dopo l'apertura della sede genovese della sua catena al Porto Antico. E poi è molto amico di Claudio Burlando, che ha convertito dal suo tiepido bersanismo a un neo-renzismo, nato da un tweet e soprattutto dall'incontro in campagna elettorale all'Acquario. Storia analoga a quella di Carlo Petrini, patron di Slow Food che, proprio con Burlando, ha presentato Slow Fish al Porto Antico. E poi, naturalmente, è savonese Fabio Fazio, altro firmatario illustre della lettera aperta di Serra.
Poi ci sono i firmatari indiretti. Ad esempio, gli intellettuali interpellati da Raffaele Niri, che di quel mondo è l'osservatore più attento ed autorevole e, dalle colonne de Il lavoro-La Repubblica, aveva interpellato alcuni potenziali firmatari genovesi, alcuni anche non sempre allineati al pensiero unico dominante nel partito come Carlo Repetti e Silvio Ferrari. E poi si sono schierati per l'alleanza fra Pd e MoVimento Cinque Stelle anche Sergio Cofferati, il giallista Bruno Morchio e proprio Borzani che, pur nella critica durissima al berlusconismo, ha detto a Niri anche le due cose più interessanti: «Mi chiedo se non sia finita la stagione degli appelli: come tante altre cose, forse si tratta di uno strumento parzialmente logorato». Perfetto. E poi, da uomo del Pd: «Ci aggiungerei un richiamo forte al centrosinistra. Se è giusto fare un appello alle responsabilità di Grillo, è altrettanto corretto sollecitare il centrosinistra ad una partecipazione straordinaria, per trovare un'identità che non sia subalternità».
E, ovviamente, non poteva mancare don Andrea Gallo. Che, naturalmente, ha firmato l'appello.

Che, fra una messa per Chavez «grande statista» e l'altra, ha fatto da mediatore fra le istanze del Pd e quelle grilline («In questi giorni ho cercato di dire il mio pensiero: Pd e Cinque Stelle non sono incompatibili»), intervenendo a ritmo praticamente quotidiano per sollecitare Grillo a «non fare lo stronzo», ed appoggiare il governo Bersani. Poi, a un certo punto, anche don Gallo ha taciuto. E lì si è davvero capito che il governo «Facciamolo», non sarebbe mai stato fatto.
(2- fine)

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