Bengasi - Il colonnello forse tentenna, ma di certo non molla. E così mentre qui a Bengasi i capi ribelli fanno i conti con i 600 chilometri di deserto e le postazioni governative che dividono il loro regno e quello di Tripoli il mondo s’interroga sul da farsi. Le opzioni sul tavolo vanno dalla trattativa all’intervento armato, dal «laissez faire» al ripristino delle sanzioni. Ma nessuno di questi scenari sembra in grado di garantire il miracolo desiderato.
NO FLY ZONE I portabandiera della «no fly zone» sono Londra e Parigi. I due paesi lavorano a una risoluzione da sottoporre al Consiglio di sicurezza dell’Onu già questa settimana. E la disponibilità della Cina - pronta a non far valere il proprio diritto di veto «se questo contribuirà alla stabilità» - potrebbe rendere più disponibile anche Mosca. Unione Europea, Nato e Stati Uniti sono comunque molto cauti su una soluzione che non si discosta molto dall’intervento militare. Per imporre una «no fly zone» ed evitare il rischio di veder abbattuti i propri aerei le forze alleate dovranno comunque distruggere al suolo la flotta aerea libica e neutralizzare le postazioni contraeree. Dovranno insomma mettere a segno delle rischiose operazioni militari senza aver la sicurezza di abbattere il regime. L’imposizione nel 1991 della «no fly zone» sull’Iraq non impedì a Saddam Hussein di sopravvivere per altri 12 anni.
INTERVENTO ARMATO I primi a non volerlo sono gli Stati Uniti, ovvero gli unici in grado di guidarlo e gestirlo. Provati dall’esperienza somala, fiaccati economicamente e psicologicamente dalla prova irachena, distratti dallo sforzo afghano, gli americani si guardano bene dal lanciarsi in un’altra avventura militare. Il primo a non volerla è il presidente Barak Obama. Già abbandonato dal suo elettorato pacifista dopo la svolta afghana, il presidente non è certo disposto a rischiare la propria rielezione. Neppure nel nome dell’oro nero.
TRATTATIVA ED ESILIO Stando a voci provenienti da Tripoli alcuni luogotenenti propongono il passaggio dei poteri nelle mani di un consiglio di tecnocrati. Il consiglio dovrebbe gestire la transizione e progettare un nuovo assetto istituzionale mentre a Muhammar Gheddafi verrebbe garantita non solo la piena incolumità, ma anche una carica onoraria. Il Consiglio dei ribelli sorto a Bengasi sotto la guida dell’ex ministro della giustizia Mustaf a Abd A l Jalil, non sembra però disponibile al negoziato. «Siamo disposti a trattare solo con Gheddafi e solo se assicura di voler dimettersi» sostiene a l Jalil, precisando di non poter garantire nulla di più dell’incolumità. Comunque sia nessuno sembra far i conti con Gheddafi. Il colonnello forte dell’appoggio delle proprie forze di sicurezza non pensa per ora né alla trattativa, né all’esilio. Anche perché, come insegna il caso Slobodan Milosevic, nessun accordo gli garantirebbe l’incolumità di fronte ad un mandato di cattura della corte internazionale dell’Aja.
SANZIONI Le sanzioni approvate sabato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite sono la più inutile fra le misure destinate a fermare il Colonnello. L’embargo imposto in passato contro l’Iraq, Cuba e la Serbia non ha impedito a dittatori come Saddam Hussein, Slobodan Milosevic e Fidel Castro di continuare a guidare il proprio paese. Gheddafi è peraltro già sopravvissuto alle sanzioni decretate dall’Onu nel 1991 dopo l’attentato di Lockerbie. Gli unici a beneficiare di quelle misure furono Cina e India che per 11 anni continuarono ad aggirare l’embargo attingendo al petrolio libico rifiutato dall’Occidente. E riprenderebbero a farlo qualora le nuove sanzioni - limitate per ora ai beni del rais - venissero estese al commercio del greggio.
LAISSEZ FAIRE Da una prospettiva cinicamente opportunista lo star a guardare è l’ipotesi più conveniente dal punto di vista militare, politico ed economico. Non comporta il rischio di esiti imprevedibili - come l’intervento militare in Somalia degli anni ’90 - e non preclude la possibilità di una ripresa dei rapporti con il colonnello. Chi sostiene quest’opzione guarda soprattutto al fattore petrolio. L’unica possibilità di vittoria dei ribelli si basa sulla loro capacità di conquistare il controllo di giacimenti e oleodotti. Se ci riusciranno recideranno la vena giugulare del regime e Gheddafi cadrà in pochi mesi. Se non ce la faranno torneranno a fare i conti con il rais. Ed il mondo con loro.
LA LIQUIDAZIONE L’ipotesi di un intervento per eliminare fisicamente il colonnello è sicuramente allo studio, ma resterà quasi sicuramente allo stato teorico. Un eventuale fallimento finirebbe con il rafforzare le forze lealiste e minare l’immagine di un Occidente già dimostratosi incapace, in passato, di liquidare il dittatore.
AIUTI AI RIBELLI Chi scrive è reduce da un viaggio nella zona del fronte di Ras Lanuf dove i ribelli dispongono di vasti quantitativi di contraeree e armi anticarro prelevate dagli arsenali del regime. Il problema è però l’addestramento. La maggior parte dei combattenti si muove senza coordinamento e senza alcuna capacità tattica e strategica.
Affidando il loro riarmo all’Arabia Saudita, come propone un piano segreto circolato alla Casa Bianca, si rischia di regalare all’integralismo nuovi arsenali. È già successo in Afghanistan negli anni ’80. Potrebbe succedere di nuovo nella Libia del 2011.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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