Giornalisti, la politica riformi l’Ordine

Lorenzo Del Boca*

Caro direttore, in Italia la giustizia non funziona. Istruttorie spropositate che, non di rado, mandano in carcere persone che non c'entrano niente. Occorrono anni per ottenere una sentenza di primo grado ma spesso - dopo altri anni di attesa - viene contraddetta dal verdetto d'appello. Meglio - molto meglio - i giudici anglosassoni e i francesi. Persino gli spagnoli e i greci potrebbero insegnarci qualche cosa.
Dunque aboliamo la giustizia italiana? La cancelliamo?! In Italia nemmeno i treni funzionano. I ritardi sono abituali e il personale è scorbutico. Le carrozze risultano sempre sporche e, qualche volta, fanno persino schifo. Hai viaggiato sui convogli austriaci, su quelli tedeschi, su quelli della Gran Bretagna? Una delizia. Si scusano un'infinità di volte per aver superato l'orario previsto di otto secondi - il battito delle ciglia - e quando, per inconvenienti di eccezionale gravità, vanno oltre i venti, l'amministrazione rimborsa il biglietto. Un altro mondo...
Allora, aboliamo le ferrovie dello Stato? Via binari... stazioni... passaggi a livello... coincidenze... e via anche i capistazione: quelli cortesi e quelli maleducati?!
Per la verità non viaggiano bene nemmeno gli aerei. Lì i ritardi sono anche più cronici e più consistenti. Per un viaggio Torino-Roma che dovrebbe durare 50 minuti, si sbarca dopo un'ora e mezzo. In proporzione, il trasferimento in Sud America dovrebbe comportare il ritardo di due giorni: code - anche frustranti - per il check in, code per entrare nell'atrio partenze, code per imbarcarsi, code all'arrivo. A Linate e Malpensa, per complicare la vita dei passeggeri, hanno inventato il doppio pagamento: il biglietto ha un costo e si può utilizzare la carta di credito ma poi c'è una non meglio precisata «tassa» e quella va saldata in contanti.
All'estero sai che all'ora di partire si parte e - minuto più, minuto meno - all'ora di arrivare si arriva. Puoi programmare gli impegni, accettare appuntamenti, chiedere a una persona di venire a prenderti all'aeroporto perché sai che non la costringerai a un bivacco, con dilatazioni temporali impreviste.
Cancelliamo l'Alitalia? E chiudiamo gli scali nazionali?
Ma, allora, perché mai si dovrebbe abolire l'Ordine dei giornalisti? Ammesso - e non concesso! - che il suo funzionamento lasci a desiderare e che altrove sia meglio, perché chiudere bottega? Perché solo i giornalisti e perché i giornalisti prima di tutti?
Ovviamente, sono consapevole che l'istituto che presiedo non rappresenta il migliore dei mondi possibili. Mi piacerebbe che l'accesso alla professione venisse regolato da un serio praticantato all'università. Gli ingegneri si formano al Politecnico e i futuri avvocati vanno a giurisprudenza. Con l'accelerazione sociologica di questi ultimi anni, gli aspiranti giornalisti devono studiare, prepararsi sui libri e conoscere gli argomenti di cui parlano. Le imprecisioni, qualche approssimazione di troppo e, a volte, gli errori grossolani (anche nella sintassi) ci fanno perdere credibilità presso i lettori.
All'esame di Stato sarebbe bene arrivare con gli strumenti moderni, abitualmente in uso nella quotidianità e, quindi, nelle nostre redazioni. Dimostrare di sapere scrivere ma doverlo fare con la Olivetti Lettera 22 che ormai sta nei musei e nella foto del 1940 che ritrae Montanelli nei corridoi del Corriere sembra francamente un po' desueto.
E poi sarebbe necessario che l'Ordine potesse esercitare un controllo deontologico efficiente, in modo da intervenire con tempestività nei casi di inadempienza dei colleghi. Adesso le sanzioni arrivano dopo anni perché i procedimenti della magistratura professionale seguono gli iter dei procedimenti amministrativi dove - sembra - non c'è fretta.
Per ottenere l'Ordine che tutti vorremmo basterebbero dei piccoli ritocchi. La categoria è d'accordo e, dunque, gli aggiornamenti sarebbero pure i benvenuti. E, allora, perché non realizzarli?
Perché l'Ordine dei giornalisti è regolato dalla legge del 1963 che, approvata quando in Italia esisteva una radio nazionale e un canale televisivo, era stata costruita sulle esigenze di allora e non poteva prevedere gli sviluppi - e i progressi - della società negli anni a venire.
I dirigenti politici degli ultimi quindici anni - a mia memoria - si sono dichiarati d'accordo sulla necessità di riformare il nostro istituto, secondo le indicazioni che noi stessi avevamo dato loro. Avessero detto che erano contrari, si sarebbe potuto discutere; ma andava bene...
Ministri, sottosegretari, capigruppo, responsabili dell'informazione, di maggioranza e di opposizione della dozzina di governi che si sono succeduti in questo periodo.
Dunque non è l'onorevole Capezzone che deve chiedere conto a me delle inefficienze dell'Ordine che presiedo. Sono io che devo chiedere conto a lui del perché il Parlamento non ha mantenuto le promesse. Occorre che la politica si metta nelle condizioni di approvare la riforma che ci riguarda. Se qualcuno ha ancora a cuore gli interessi dell'informazione. Altre strade, prima che impraticabili, sono dannose.


Le notizie sono un bene prezioso che, tutti quanti, dovremmo tentare di salvaguardare. Altro che affidarle al mercato che, malamente interpretato dai liberisti degli ultimi cinque minuti, ha già provocato sufficienti danni.
*presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine
dei giornalisti

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