Giudici, una protesta per far paura all’Unione

Anna Maria Greco

da Roma

La riforma dell’ordinamento giudiziario è legge ormai da luglio, ma l’Associazione nazionale dei magistrati non rinuncia alla sua protesta: le toghe non parteciperanno alle cerimonie d’inaugurazione dell'anno giudiziario che si terranno il 28 gennaio nei 26 distretti di Corte d'appello. Saranno invece presenti, ma solo per «doveroso rispetto» nei confronti del capo dello Stato, al solenne appuntamento in Cassazione.
In quella stessa aula magna del «Palazzaccio» ieri mattina si è svolta l’assemblea dell’Anm. Era ben poco affollata, meno di 100 persone quando al massimo della mobilitazione ce n’erano anche 1000. E, soprattutto, vi serpeggiava il timore di un tradimento dell’Unione. Il vicesegretario Nello Rossi, della corrente di sinistra Magistratura democratica, ha proposto di andare ancora allo scontro, per dare «un forte segnale alla maggioranza di governo che verrà».
Non con lo sciopero, le adesioni sono andate calando nei quattro fatti quando la riforma era in parlamento, ma con una manifestazione di dissenso contro i decreti delegati ancora da approvare, che hanno «peggiorato» la riforma e contro il ministro della Giustizia Roberto Castelli che, per la prima volta, farà una relazione alle Camere prima dell’inaugurazione. Nel pomeriggio è stato il Comitato direttivo, con 20 membri su 36, ad approvare la sua proposta di disertare le cerimonie. Un solo voto contrario, quello di Mario Cicala della corrente moderata Magistratura indipendente. «La riforma non è più una legge della Cdl, è una legge dello Stato. Ed è inopportuno che la magistratura dia l'impressione di contrapporsi al potere legislativo e inserirsi nella campagna elettorale in corso».
Ma sembra che proprio questo voglia l’Anm, ormai quasi costretta a non abbassare i toni per non rinnegare la linea oltranzista che l’ha portata a una sonora sconfitta. Stavolta, poi, c’è la preoccupazione che l’Unione faccia un passo indietro sulla riforma, dopo aver sempre alimentato la protesta antigovernativa. Nel «parlamentino» del sindacato delle toghe si è parlato proprio di questo, del segnale allarmante venuto da Giuliano Pisapia del Prc. Quello che viene ritenuto il probabile nuovo ministro della Giustizia del centrosinistra e comunque il responsabile sel settore della coalizione, il primo dicembre ha annichilito l’Anm dicendo che, in caso di vittoria elettorale dell’Unione, non si sarebbe abrogata la legge, semmai un po’ modificata. Perché di cose buone ne contiene, compresa la vituperata separazione delle funzioni tra giudici e pm, che semmai è un «ibrido» e dev’essere accentuata. Apriti cielo! A Cicala che faceva notare come si dovesse fare i conti con un centrosinistra orientato a fare solo modifiche parziali alla legge, il leader dei Movimenti riuniti Armando Spataro ha risposto che lui, infatti, Pisapia l’ha contestato e che proseguendo con le proteste si può ottenere dall’Unione l’impegno di «radere al suolo» il sistema giudiziario fatto dal centrodestra. Il procuratore aggiunto di Milano ha anche avvertito che allo «scempio» compiuto da Castelli potrebbe seguire la proposta dell’azzurro Gaetano Pecorella che interviene sul giudizio in Cassazione.
Una protesta «preventiva», dunque, che lancia un angosciato appello all’opposizione. Non solo Pisapia ha ridimensionato le aspettative dell’Anm, Romano Prodi ha garantito che per la giustizia andranno abrogate le leggi ad personam della Cdl, non altre e il presidente dei Ds Massimo D’Alema ha annunciato che, in caso di vittoria, bisognerà «riformare più che abrogare» e che il programma dovrà essere costruttivo. Di fronte a questo, contano poco i toni duri di Massimo Brutti che all’assemblea dell’Anm ha promesso che dopo la relazione di Castelli in parlamento si dovrà aprire il dibattito in aula; né la comprensione di Anna Finocchiaro che ha parlato di «malessere profondissimo nella magistratura». Oltretutto, in autunno ci sono le elezioni al Csm e le correnti che hanno portato la protesta all’estremo temono di essere punite.

Cercano di tenere unito l’elettorato, senza cali di tensione. Ma tra le toghe già in tanti pensano che, visto com’è andata a finire, conveniva accettare nel 2002 la riforma proposta da Castelli alla giunta di Mario Patrono( Mi). Era molto più vicina alle richieste del sindacato.

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