Il governo delude i pacifisti «Rimarremo in Afghanistan»

Il ministro D’Alema rassicura la Nato che chiede più forze a Kabul: «Il ritiro non è all’ordine del giorno»

Il governo delude i pacifisti «Rimarremo in Afghanistan»

da Roma

Il ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, è molto preoccupato per l’immagine internazionale dell’Italia. Il presidente del Consiglio, Romano Prodi, è in ansia per lo stato di salute del governo. I leader della sinistra radicale per l’«appannamento dell’immagine pacifista del governo». I ribelli ultrapacifisti, tout court, per la pace nel mondo. Il presidente emerito Francesco Cossiga, con (forse) mal comprese dosi di ironia, si fa paladino di questi ultimi e rilancia sulla «ragionevole proposta di ritiro entro il 2008», chiedendo che esso «sia integrato dalla completa sottrazione delle nostre unità al comando Nato» e dal ritiro delle truppe italiane da Kosovo, Bosnia-Erzegovina e Libano.
Stati d’animo di una convulsa ordinaria giornata di politica internazionale. In attesa che il presidente afghano, Hamid Karzai, arrivi a Roma il 16-17 febbraio, D’Alema vola a Bruxelles per rassicurare il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer. Ribadirà che il ritiro dei militari italiani «non è all’ordine del giorno», ma neppure «ci è stato chiesto di aumentare le truppe o le risorse». Prodi vola invece ad Ankara e in serata cerca di oscurare il suo ministro degli Esteri, ribadendo che «l’impegno in Afghanistan non aumenta e non diminuisce», che il governo «manterrà gli obblighi assunti» perché «lavorare per la pace è prendere iniziative». L’iniziativa, al momento, consiste soprattutto nel forzare sull’immagine internazionale per piegare le resistenze interne. Così che la maggioranza, come auspica il premier, vada «avanti e la finisca con i “se”...».
Cosa accade in Afghanistan. Il comandante delle forze Nato in loco, il britannico David Richards, in un’intervista al Guardian ha lanciato un s.o.s.: «Abbiamo bisogno di uno sforzo militare supplementare nel Paese, dobbiamo impegnarci in modo ancora più energico per un altro anno, per battere i talebani...». Il colonnello Theo Vleugels, a capo del contingente olandese nella provincia di Uruzgan, meno ottimista, ritiene invece che le truppe in Afghanistan saranno necessarie «forse per dieci anni ancora, se non di più». Intanto a Bruxelles, D’Alema declinava l’invito Nato per nuove truppe da inviare. «Non se ne parla». L’unico dato certo è che a marzo verrà ridiscussa la missione civile Nato (Unama) e a ottobre quella militare (Isaf). L’Italia, grazie a D’Alema, «ha chiesto e ottenuto» di essere relatore di entrambe. Una gatta da pelare che, almeno nelle intenzioni del governo, potrà tornare buona per mettere a tacere la sinistra radicale sull’ormai imminente rifinanziamento. «Ma di che stiamo parlando, se va ridiscusso tutto assieme agli altri Paesi?», aveva già sibilato il ministro ai leader di Prc, Verdi e Pdci durante il vertice dell’altra notte. In effetti, nessuna previsione è possibile sui tempi di un possibile ritiro: «Io spero che si possa arrivare a delineare un programma di ritiro delle forze internazionali dall’Afghanistan - ha detto D’Alema -, ma non è realisticamente all’ordine del giorno. Certo, non siamo lì a tempo indefinito: le forze internazionali si ritireranno non appena l’Afghanistan sarà nelle condizioni di reggersi da solo... Noi faremo la nostra parte sia per la ricostruzione economica che per rafforzare le istituzioni afghane: dobbiamo rafforzare questa azione, ma dipenderà anche dalle risorse disponibili. Potrei dire che il successo della missione è quando questa potrà dirsi conclusa». A occhio e croce dieci anni, secondo il comandante olandese. Nove durò quella sovietica, dall’80 all’89. Non fu un trionfo.
Cosa accade in Parlamento. Nel decreto di rifinanziamento alla missione Isaf «bisognerà introdurre elementi di novità», ha spiegato D’Alema, ed è probabile che il Parlamento venga invitato a votare un ordine del giorno che le contenga. Esse riguarderanno una Conferenza di pace («La spingeremo», è la promessa di Prodi) e la determinazione a «estendere l’impegno sul piano civile e della cooperazione». Considerata la frase sfuggita al ministro degli Esteri sulle «risorse disponibili», non è ancora chiaro se si tratta di chiacchiere («pannicelli caldi», li chiama per ora Claudio Grassi, guida dei ribelli di Prc) o se nel decreto si stanzierà qualche fondo in più. Considerato l’interesse mostrato dal premier in Turchia, potrebbe essere lecito dubitare che agli annunci seguano fatti. Prodi è sembrato avere a cuore soprattutto la solidità della sua maggioranza, che «va avanti tranquilla: abbiamo discusso un’ora e mezza con Prc, Pdci e Verdi sull’Afghanistan, ma sono di più le ore dedicate all’azione che il governo dovrà svolgere in futuro, per programmare le riforme, che rappresentano la parte più importante della nostra azione...». Da Ankara Prodi ha voluto persino rispondere al rifondatore Giordano, negando che si sia «appannata l’immagine pacifista del governo», e ha cercato di rasserenare gli animi della sinistra. Il ricorso alla fiducia sarà deciso più avanti, perché per ora «nell’Unione non c’è desiderio di rottura e andiamo verso uno scambio costruttivo».

Uno «scambio» considerato «costruttivo» anche dai leader della sinistra radicale. Non dai «ribelli» che, l’uno dopo l’altro, ieri hanno voluto ribadire il loro «no» al voto per il rifinanziamento. Temono «truffe», «pannicelli caldi» e informazione drogata. Oppio talebano, naturale.

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