«Il governo? Ha il 51% di chance di sopravvivere»

«Il governo? Ha il 51% di chance di sopravvivere»

RomaSenatore Maurizio Gasparri, guardi che succede. Violenza a parte, Draghi dice che i giovani hanno ragione a indignarsi.
«Le banche hanno commesso errori gravi. Ma trovo deteriore che alcuni banchieri ora salgano sul carro della protesta».
Obama ne vuole fare lo strumento di risalita nei sondaggi.
«Troppo facile cavalcare la protesta. Una scorciatoia... Tutto il mondo è inquieto per la crisi, però noi dobbiamo dare le risposte».
Nel nostro piccolo, con il decreto-sviluppo?
«Il discorso va diviso. Occorre un piano straordinario per aggredire e abbattere il debito pubblico, utilizzando la cessione di immobili pubblici, il condono...».
Il Paese vorrebbe ripartire.
«Qui viene la seconda parte, il decreto-sviluppo, che non potrà essere a costo zero, mi sembra chiaro. Di tutto c’è bisogno in questo momento, tranne che della politica degli annunci. Prendiamoci qualche giorno in più, dobbiamo ragionare bene sulle misure e sui meccanismi. Anche il provento fiscale dai depositi in Svizzera, che richiederà i suoi tempi, può essere approfondito. Occorre un lavoro serio, che sia discusso dai gruppi parlamentari. Penso che sia indispensabile riunire le commissioni Bilancio di Camera e Senato, perché questo è un problema che riguarda le generazioni future».
Il futuro si gioca su questo.
«Su questo e sulla riforma costituzionale: secondo me c’è il tempo e la possibilità di farla».
È più facile fare la legge elettorale.
«Meglio nel quadro di una riforma più generale, ampliando la possibilità di scelta dell’elettore. Chiedo ad Alfano di riunire immediatamente il gruppo di lavoro».
Comunque si rischiano elezioni a marzo.
«Non me lo auguro. Però alternative non ci sono: il governo di tutti sarebbe una somma di veti, condannato alla paralisi».
Qual è la percentuale di sopravvivenza?
«Il 51 per cento, la maggioranza più uno».
316 voti sono un po’ pochi.
«Sono stati importanti per sconfiggere il trucchetto della mancanza del numero legale, che avrebbe meritato una censura pubblica».
Detto questo, restano pochi.
«Pochi, ma pochissimo è il livello morale di chi ha tentato il trucco».
Sempre quelli restano: 316.
«Pochi, vedremo se ci consentiranno di continuare. Sarà la nostra sfida quotidiana».
Ma il Pdl è pronto? E se Berlusconi non si ricandidasse?
«Quando ci saranno le elezioni faremo quello che dirà Berlusconi. Il processo di rinnovamento generazionale è già partito, Berlusconi lo ha voluto e favorito. Inutile discuterne ora».
L’Udc sarà alleata?
«L’inseguimento quotidiano non è una buona pratica, al momento il discorso è fuori dalla realtà. Quando si andrà al voto, ciascuna delle forze moderate sarà di fronte alla propria responsabilità: favorire una sinistra divisa e condizionata da estremisti o mettere assieme tutti i partiti alternativi alla sinistra?».
Magari nasce pure un partito cattolico.
«Io sono cattolico».
Adulto?
«Non raccolgo. Va bene il fermento, ma credo che il Pdl sia il partito dei cattolici che garantisce i valori e le scelte che stanno a cuore ai cattolici. Anche se ci fosse, il ruolo del Pdl sarà indispensabile. Siamo il più grande partito che aderisce al Ppe, e già sul cammino di una grande costituente popolare. Un obbiettivo che non si raggiunge demolendo il Pdl».
Troppe correnti d’aria, nel Pdl.
«Ben venga il confronto sulle idee, la pluralità è una ricchezza. Ma va rifuggita ogni posizione individualista e velleitaria. Atteggiamenti scomposti allontanano gli elettori: si può avere un partito senza correnti, mai visto un partito senza elettori».
Nel Pdl che verrà ci sarà ancora posto per Tremonti?
«È un esponente di spicco, con uno stile molto particolare. Dico che occorre mantenere sempre ben salda la nostra identità: un po’ più di umiltà e senso di appartenenza. Vale per me come per Scajola, per Tremonti, per tutti».


Per Berlusconi?
«Berlusconi è il principio fondatore, senza di lui non staremmo qui a parlare. Lavoriamo al dopo assieme a lui. Il momento è delicato e richiede nervi saldi... Com’è stato il gollismo per De Gaulle, il suo più grande successo sarebbe un partito che gli sopravviva nell’arco di decenni».

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