Quei quattro segnali nella manovra

I pilastri per non deludere gli elettori sono fisco, migranti, sicurezza e garantismo

Quei quattro segnali nella manovra
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Magari non sarà un complotto pianificato come quello che silurò l'ultimo governo di Silvio Berlusconi, ma sicuramente di fronte a una congiuntura economica difficile e ad emergenze come la guerra in Ucraina o l'immigrazione, il governo Meloni non è aiutato dall'Europa, né tantomeno dall'opposizione in Italia. Tragedie e numeri vengono usati per affossare il governo, mentre l'interesse nazionale cancella ogni solidarietà. Del resto, se nella Commissione europea siede uno dei probabili competitor dell'attuale premier alle prossime elezioni (Paolo Gentiloni), non puoi aspettarti di più. Romano Prodi preparò la sua rivincita contro il Cavaliere alle elezioni del 2006 proprio a Bruxelles, da presidente della Commissione.

Quindi, i problemi del governo, al netto di imprevisti, riguardano non tanto il medio-periodo ma semmai i guai futuri: se hai poche risorse a disposizione per la legge di bilancio, infatti, rischi di deludere i tuoi elettori. Ecco perché devi innanzitutto tenere compatto lo schieramento elettorale in tutte le sue componenti. Nessuna esclusa.

Se la prima legge di bilancio è stata poco identitaria (per usare un brutto termine) perché il governo era in carica da due mesi, la seconda, nei limiti, deve lanciare più di un segnale. E deve essere corredata anche da altre politiche che debbono rimediare alla carenza di risorse. Le tematiche non possono non essere quelle su cui il centrodestra è nato: fisco, immigrazione, sicurezza, garantismo.

La riduzione della tassazione è il primo obiettivo su cui il governo dovrebbe concentrare la maggior parte delle risorse: forse è il gene dominante nel Dna del centro-destra. Difficile immaginare oggi delle rivoluzioni, ma sarebbe esiziale se l'esecutivo non riuscisse a confermare il taglio del cuneo fiscale di fronte all'inflazione, al carovita e alla perdita di potere d'acquisto di salari e pensioni. Ieri il ministro Giorgetti ha confermato che è la «priorità numero uno»: ogni marcia indietro sarebbe letale.

Poi, non potendo osare troppo sull'economia, su altre questioni il cambio di passo deve essere più netto. Sull'immigrazione, se addirittura un europeista convinto come il presidente Mattarella condanna l'inadeguatezza dell'approccio europeo al problema, le regole dell'accordo di Dublino e l'atteggiamento tedesco, il governo deve andare oltre. L'efficacia del meccanismo dei rimpatri è fondamentale: anche perché in tempi di crisi è difficile spiegare all'opinione pubblica perché lo Stato spende per mantenere un immigrato più di quanto dà per pensioni minime o reddito di cittadinanza.

All'immigrazione è collegata la sicurezza. Un governo di destra-centro, fin dal suo esordio all'insegna del law and order, sarà giudicato sulla sua capacità di salvaguardare la tranquillità e l'incolumità dei cittadini. È uno dei caratteri identitari, non per nulla sono proprio i temi su cui la Meloni si è più spesa.

Lo stesso non si può dire sul garantismo. Eppure più ti adoperi per una legislazione severa e più dovresti impegnarti per delle regole che salvaguardino gli innocenti che finiscono nelle maglie della nostra giustizia. Invece, sull'argomento si sono spese molte parole, con pochi risultati. Il combinato disposto tra le resistenze alla riforma da parte della magistratura politicizzata e dei settori meno garantisti della maggioranza sta producendo interventi incompleti e una sorta di stallo. Solo che anche il garantismo è un elemento identitario del centro-destra.

Ci sono settori liberali e moderati che proprio sull'obiettivo di una giustizia più giusta hanno trovato il punto di incontro con questo schieramento. Non dare risposte o, addirittura, mortificare queste istanze rischia di privare la coalizione di componenti elettorali che potrebbero rivelarsi decisive.

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